domenica 23 dicembre 2012
Sosta natalizia
Cari amici,
il blog si ferma per le feste di fine anno. Ci rivedremo dopo l'Epifania.
Colgo l'occasione per augurare a tutti voi un sereno Natale e un 2013 di ripresa !
Spero poi che aumentino le collaborazioni per preparare i nuovi articoli, già qualcuno ha gentilmente aderito...il blog è aperto a tutti :)
Il castello di lunedì 24 dicembre
MANIAGO (PN) – Castello patriarcale
Il castello di domenica 23 dicembre
AVIGLIANO UMBRO (TR) – Castello in frazione Toscolano
venerdì 21 dicembre 2012
Il castello di sabato 22 dicembre
LEONFORTE (EN) – Palazzo Branciforti
Iniziato a costruire nel 1610, con maestranze romane e
palermitane che lavorarono sotto la direzione dei tre capomastri ennesi Gianguzzo,
Inglese e Calì, il suo completamento si protrasse per mezzo secolo. In
posizione dominante il paese, fu la dimora del Principe fondatore Nicoló
Placido Branciforti e della sua famiglia sino al 1850, quando l’ottavo ed
ultimo Principe, Giuseppe Branciforti, lasciò per sempre la città per
trasferirsi definitivamente a Parigi. Si presenta con una mole inconsueta e
stupefacente per un centro agricolo di nuova fondazione. Ha pianta quadrangolare
e tre elevazioni, è dotato di ampio cortile interno quadrato e presenta una
fila di finestre a piano terra e balconi simmetrici con mensole scolpite al
primo piano. Elegante il manieristico portale a bugne (simile a quello del
palazzo che il Principe possedeva a Palermo), con motivi figuranti sui
pennacchi e sulle mensole del sovrastante balcone centrale, sul quale sono
scolpite armi e trofei da guerra attribuite allo scultore romano Fabio
Salviati. Il lato sud del Palazzo presenta due bastioni di fortificazione circoscriventi
una villetta, realizzata nel 1878 dal Comune, che si affaccia sulla via
Garibaldi e che ha come magnifico scenario la suggestiva zona storica della
città. Internamente l’ampio cortile presenta al centro una profonda cisterna
anch’essa di forma quadrata come l’intero complesso architettonico. Ai lati si
aprono i magazzini, l'arsenale e altri ambienti. Sull' ala centrale, in
corrispondenza del portone d'ingresso, si erge uno scalone di accesso ai due
piani superiori del palazzo che costituivano la residenza del principe. Le sale
di rappresentanza, di cui una che poteva accogliere circa 400 persone, sono decorate
con pregevoli stucchi e sono state restaurate di recente. I sotterranei infine
erano adibiti a magazzini per conservare l'olio e a carcere. Il deterioramento
di questo edificio, purtroppo, è stato costante e progressivo nel tempo, sia
all’interno che nel prospetto. Acquistato nell'Ottocento dai Conti Li Destri subì
infatti diverse manomissioni, mentre un crollo negli anni Cinquanta ha
irrimediabilmente cancellato l'ala est, oggi parzialmente ricostruita. Venne
distrutta la galleria che collegava il Palazzo con la chiesa di S. Antonino,
che fungeva da cappella palatina della famiglia Branciforti; con essa venne
anche distrutto il giardino con alberi secolari per lasciare il posto ad un
edificio scolastico. Nel 1980 si è provveduto al consolidamento del tetto,
mentre nel 1988 è stato pavimentato il cortile interno con cotto a taglio. Il
palazzo è stato sede di fastose mondanità documentate in testamenti ed altre
scritture e ha ospitato illustri personalità tra cui Giuseppe Garibaldi che,
tra il 15 e il 16 agosto 1862, da uno dei balconi parlò al popolo di Leonforte
e Amedeo di Savoia, duca di Aosta, che nel 1923 si trovava a Leonforte per una
battuta di caccia, ospite dell'amico Giovanni Scelfo ufficiale di artiglieria. Oggi,
la parte ancora abitabile è di proprietà privata. Nel marzo del 2010 è stata
attivata la nuova illuminazione artistica sulla facciata del glorioso palazzo.
Il castello di venerdì 21 dicembre
ELICE (PE) – Castello Castiglione
Elice è attestata nelle fonti sin dal
secolo XI. Nel 1051 il monastero benedettino di S. Maria di Picciano aveva, per
donazione di Bernardo di Penne, una cella detta di S. Martino "nel
castello dell'Ilice soggetto". Il 10 luglio 1084, nel castello di Loreto,
il conte Guglielmo Tassone donò il castello di Elice, con uomini, terreni,
edifici e pertinenze, all'abbazia di S. Giovanni in Venere. Il castello, che
nel 1168 aveva 264 abitanti, quale possesso dell'abbazia di S. Giovanni, era
tenuto dal milite Guillelmo di Camarda; venne confermato il 16 giugno 1176 dal
Papa e il 1° marzo 1195 dall'imperatore Enrico VI. Nel 1279 era feudatario di
Elice Govitosa di Raiano, che potrebbe essere un erede di Bernardo. Nel 1284
erano signori del Castello Bertoldo e Pietro Stefano di Roma che, in tale anno,
concessero all'Università di Elice di tenere il mercato tutti i lunedì purché
non fosse di pregiudizio ai vicini e di dispendio allo stato. Nel marzo del
1292 gli atriani, con milizie francesi condotte da Matteo di Plexiac,
assalirono contemporaneamente Elice e Cellino. Nel 1316 Elice era posseduta da
Ingardo di Rillana che aveva anche la terza parte di Cellino. Nel 1388 era
feudo di Antonio Brunforte che l'aveva ricevuto con l'assenso di Carlo III di
Durazzo. A Penne pervenne per acquisto fatto dalla Città nel 1417 o 1418.
Finita nelle mani di Giosia d'Acquaviva, il 31 ottobre 1438 la regina Giovanna
II ordinò che fosse restituita alla Città di Penne che l'aveva acquistata da
Petruzio de Rigerano. Nel 1461 il re Ferrante I d'Aragona concesse ai fratelli
Baldassarre, Melchiorre, Gaspare ed Agamennone Castiglione, e ai loro eredi e
successori, in perpetuum, il mero e misto impero e giurisdizione criminale nei
loro feudi di Elice, Vestea e Castiglione. I Castiglione tennero in feudo Elice
sino al 1806, quando furono emanate le leggi eversive della feudalità. Successivamente appartenne agli Impacciatore,
famiglia di commercianti che avevano insediato ad Elice una fiorente fabbrica
di ceramica, e ai Baroni famiglia di medici operanti fino al secondo
dopoguerra. Pietro Baroni, che fu sindaco di Elice sino
al 1893, anno della sua morte, impiantò nei locali del castello una fabbrica di
terrecotte e di ceramiche. Ubicato alla sommità del paese il maniero crea
un unico blocco con la chiesa parrocchiale. L’edificio, che
si sviluppa planimetricamente secondo un rettangolo irregolare con i lati corti
rivolti a Nord-Ovest e Sud-Est e quelli lunghi a Sud-Est e Sud-Ovest, copre un
intero isolato. In ogni lato si sviluppa un corpo di fabbrica di spessore
pressoché costante così da circoscrivere un cortile scoperto rettangolare che
dà accesso sia ai locali a livello del cortile che ai piani superiori. La
muratura è prevalentemente in laterizio, eseguita con la tradizionale tecnica a
secco. L'edificio è a più livelli: piano a livello stradale dove si trovano
alcuni ambienti parzialmente interrati dal terrapieno stradale - piano
sopraelevato rispetto al livello stradale – primo e secondo piano costituenti
la zona residenziale. Sul lato della piazza, sotto ai fondaci a sinistra entrando
dal portone, c'è un dislivello col piano stradale superiore a tre metri. Sono
stati condotti degli scavi nel 1987 ad opera del Comune per scoprire eventuali
piani inferiori. Effettivamente risultano dei vuoti, in parte riempiti da
terriccio e pietrame, antichi silos per derrate. Nei sotterranei di destra
esistono cinque pozzi rivestiti in muratura, adibiti in passato a depositi di
olio, grano e derrate varie, dati i frequenti assedi, carestie e periodi di
isolamento. Anche la cisterna di raccolta delle acque piovane era
indispensabile per i suddetti motivi. Anche sotto il cortile esistono locali
riempiti di terra e rottami. Nel fondaco grande è stata trovata una gradinata
che porta sotto il pavimento: non si è potuto procedere allo scavo per pericolo
di frane (i vecchi del paese hanno sempre parlato di una galleria sotterranea
che dal Castello attraversa la Piazza e termina nella campagna circostante). Il
portale d’ingresso immette in un androne a volta ai lati del quale si aprono i
locali adibiti una volta a cantine, stalle e alloggi della servitù e del corpo
di guardia. Vi è una grande mangiatoia ben conservata e il
locale del corpo di guardia dei "Bravi" con all'esterno una panca di
pietra, impiegata non solo per il riposo e la sosta in servizio ma anche per
facilitare il salire e scendere da cavallo. Le scalinate interne
rientrano nella comune tipologia medievale, strette e con piccole feritoie
tipiche dell’epoca. Dall'androne si passa nel cortile
scoperto caratterizzato dal disegno della pavimentazione, formata da cinque
cerchi concentrici posti a distanza regolare e collegati tra loro da due
diametri corrispondenti alla circonferenza maggiore e da una serie di raggi
incompleti posti a distanza regolare in modo da formare degli spicchi di uguale
dimensione. Le circonferenze e i raggi sono realizzati in mattoni posti in
opera a coltello mentre gli spicchi sono riempiti di ciottoli e terra: tale
procedura la ritroviamo anche nel cortile coperto e nell'ingresso, con l'unica
differenza che il disegno geometrico è caratterizzato da una maglia modulare
rettangolare. Al primo piano, la cosiddetta “Galleria”, rimangono una
cappella e un grande salone; sulla sommità un grosso terrazzo che si immette
sull’ingresso. La cappella è un ambiente rettangolare,
stretto e lungo, addossato alla Chiesa Madre, con piccole nicchie nel muro e
tre grate di ferro dalle quali si poteva assistere ai riti religiosi La
storia vuole che il castello di Elice abbia 99 stanze, numero molto ricorrente
per l'Abruzzo in genere (si ricordi le 99 chiese dell'Aquila e la 99 cannelle),
molte delle quali in perfetto stato di conservazione. Sotto
la gradinata che porta al terrazzo superiore c'è un locale a cui si accede
aprendo una grossa botola (pare servisse da nascondiglio o prigione per i
briganti), mentre nei locali a destra del portone d'ingresso, dopo vari ambienti
comunicanti, c'è un "trabocchetto", attualmente riempito di terra,
dove con molta probabilità finivano gli ospiti indesiderati. ben poco è rimasto
intatto dell'antico castello, se si escludono il bel torrione sulla piazza, la
facciata Nord-Ovest, l'ingresso con il cortile e l'imponente struttura muraria che
alla base raggiunge lo spessore di oltre un metro e mezzo. Fino a pochi anni fa
il castello era aperto al pubblico e alcune stanze venivano utilizzate
per la sagra della mugnaia. Purtroppo anche Elice ha riportato danni in seguito
al terremoto de L'Aquila del 6/04/2009, con la conseguenza che l’edificio è
stato chiuso in quanto inagibile.
giovedì 20 dicembre 2012
Il castello di giovedì 20 dicembre
CORIGLIANO CALABRO
(CS) – Castello Sanseverino in frazione Cantinella
Rappresenta uno dei più significativi esempi di architettura
rinascimentale in Calabria. Edificato
nel 1515 da Bernardino Sanseverino, quattordicesimo conte di Corigliano e
principe di Bisignano., sulle rovine di un preesistente monastero di
origine medievale, si trova sulla
statale 106, ai margini della fertile pianura coriglianese, in località
Cantinella. E’ meglio conosciuto come Castello di San Mauro dal nome del
torrente che scorre nella zona. Nel novembre del 1535, Piero Antonio
Sanseverino e la sua prima moglie, Giulia Orsini, vi ospitarono il re di Spagna
Carlo V, di ritorno dalla campagna di Tunisi. E l’imperatore, giunto con
esercito al seguito, rimase colpito dall’ospitalità dei Sanseverino. Oggi
si presenta in cattivo stato di conservazione, ma quel che ne resta dimostra
ampiamente l'antica imponenza. Nonostante la sua illustre storia, è finora
mancata la volontà di recuperare questo monumento. Ecco un link in cui se ne
parla con altre informazioni utili: http://larosanelbicchiere.blogspot.it/2008/03/attualitil-castello-di-san-mauro.html
Il castello di mercoledì 19 dicembre
REDONDESCO (MN) – Castello Gonzaga
E' una struttura militare sorta probabilmente nell'XI secolo
ed è il più antico edificio a scopo difensivo rimasto a Redondesco. Il castello,
o quanto di esso rimane dopo lo smantellamento nel XVII secolo, è costituito da
una cortina, in parte merlata, anche se i merli, ghibellini, sono interamente
rifatti. La torre d’ingresso è alta, sovralzata mediante una cella campanaria
munita di due aperture arcuate su ogni lato. Ma già prima di tale sopralzo la
torre possedeva una cella superiore, pure dotata di due finestre arcuate per
lato, eccetto quello frontale oggi occupato dal quadrante dell’orologio.
Malgrado le varie riprese, questa probabilmente fu l’originaria torre
d’ingresso al borgo, tardo medievale; davanti ne venne eretta un’altra, più
larga e più bassa, a sua volta doppiamente forata a destra da una porta arcuata
già dotata di ponte levatoio (restano le sedi dei bolzoni) e a sinistra da una
pusterla (oggi murata), anch’essa già dotata di passerella levatoia. Rimangono
la torre principale (affrescata interamente nel ‘300) e quattro torrioni. Oggi
è di proprietà comunale. Il castello, che ha degli elementi di somiglianza con
quello San Giorgio di Mantova, fu residenza dei conti di Redondesco e dopo la
loro cacciata divenne sede del pretorio e residenza dei giudici municipali.
Ebbe un ruolo molto importante anche durante il dominio dei Gonzaga: essendo
posto in posizione strategica, era infatti determinante per controllare o
fermare movimenti militari sulla Postumia. Nel 2011 sono stati annunciati
stanziamenti per il recupero e la riapertura al pubblico di questo importante
monumento.
martedì 18 dicembre 2012
Il castello di martedì 18 dicembre
JESOLO (VE) – Torre del Caligo
Era un antico fortilizio che sorgeva sulle rive del canale Caligo, il quale si dirama poco prima dal Sile. Di origini altomedievali, fu probabilmente realizzata dai Veneziani su un precedente edificio di epoca imperiale. Certamente è romano il materiale utilizzato: conci di pietra alla base e quindi corsi di mattoni. Il manufatto, che misura 24 piedi per 24, sembra essere l’elemento superstite di una coppia, dal momento che alcune mappe settecentesche indicano una seconda torre con lo stesso nome, ora del tutto scomparsa, al capo opposto del canale Caligo, in località Lio Maggiore. A questa si aggiungeva una serie di altre costruzioni simili che si collocavano lungo il canale Revedoli, le quali tuttavia erano già scomparse nel XVI secolo. Il sistema difensivo serviva a sorvegliare una zona strategica, controllando i canali diretti in laguna e la campagna coltivata dei dintorni. La torre, di almeno 3 piani fino al XVI secolo, funzionò soprattutto come presidio militare che permetteva di far pagare i pedaggi: per il Caligo, infatti, passava un ingente traffico commerciale (legname) mettendo in comunicazione il Piave con la Laguna Veneta e Venezia. Era affidata a un "capitanio" nominato dagli Ufficiali alle Rason Vecchie che poteva riscuotere vino e vittuarie, le strutture erano gestite invece da un "palatièr" che riscuoteva le tariffe di transito in proporzione alla stazza delle imbarcazioni e alle merci trasportate. E' attestata l'esistenza di "palade a carri", che consentivano mediante un sistema di piani inclinati e argani di trasferire inbarcazioni di piccole dimensioni e di peso limitato oltre l'argine; attorno al 1577, si costruì anche un "sostegno a pianconi", cioè una specie di porta fluviale. Attorno alla torre sorsero, inoltre, strutture di accoglienza e di assistenza spirituale. Con l'abbandono della via d'acqua e lo smantellamento delle Porte di navigazione (1677), secondo un costume di riciclaggio dei materiali da costruzione in uso a quei tempi, anche per l'antica Torre giunse tuttavia la fine. Una mappa del 1713 la rappresenta ancora integra, ma è probabile che negli anni successivi sia stata smantellata per reimpiegarne i materiali da costruzione. Secondo una tradizione, nei pressi della fortezza sorgeva un monastero che avrebbe ospitato San Romualdo (si riferisce a questo episodio lo strano altorilievo raffigurante un pastore con pecore e una croce che si nota sul muro della torre prospiciente la strada, realizzato da un agricoltore in tempi recenti). Nel 1551 è però documentato un oratorio dedicato a San Pietro frequentato dagli abitanti del luogo. La torre stessa rappresentò un luogo devozionale, come dimostrano alcuni elementi (croci, probabili resti di un altare, un tabernacolo). Nel 1927, infine, fu collocata sulla parete più alta una croce in ferro proveniente dalla vecchia chiesa di San Donà, distrutta durante la grande guerra. Oggi ne rimane il basamento quadrangolare, piuttosto diroccato. I suoi ruderi attualmente visibili sono parzialmente invasi dalla vegetazione; quello che un tempo era l’ingresso principale, dalla parte della strada, è chiuso da una rete metallica a maglie larghe. E’ un sito archeologico tutelato in base al D. Lgs. 42/2001.
domenica 16 dicembre 2012
Il castello di lunedì 17 dicembre
CECCANO (FR) – Castello dei Conti di Ceccano
Nel corso della sua esistenza millenaria, il
castello di Ceccano ha attraversato tre principali fasi storiche. Nella prima
fase, in epoca medievale, esso fu il centro nevralgico di una vasta contea che
apparteneva a stabili feudali, conosciuti come conti de Ceccano. Secondo alcuni
storici come ad esempio Ferdinand Gregorovius la famiglia, di origine
germanica, era imparentata con la nobiltà di Roma e poco prima dell'anno Mille
si stabilì sul luogo prendendone l'appellativo. La presenza di un edificio
fortificato è testimoniata su alcuni documenti sin dal 1113, quando un incendio
distrusse l’arcem Ceccani. Il termine latino arx, più che riferirsi
generalmente al borgo fortificato, si riferisce certamente alla rocca, cioè
all’edificio che oltre ad avere scopi difensivi, serviva anche da residenza ed
abitazione per il feudatario e i vari personaggi a lui legati, che ne formavano
la famiglia. E’ in questo castello che Giovanni da Ceccano dovette redigere nel
1224 il suo testamento in camera da volta in Ceccano. Che questo ambiente con
copertura a volta appartenesse alla rocca appare chiaro da un atto del 1264, il
testamento di Landolfo, in cui se ne specifica la collocazione: in volta seu
camera turris venule, cioè nella torre, probabilmente nel mastio del castello.
L’aggettivo venula riferito alla torre fa pensare all’esistenza di altre torri
o di edifici costruiti in epoca più recente, e forse a seguito della citata
distruzione del 1113. Con la scomparsa dell'ultimo erede dei da
Ceccano verso la metà del XVI secolo, la contea passò dapprima ai Caetani per
poi essere parte della signoria dei Colonna fino ai primi anni del XIX secolo.
In questa seconda fase il castello subì i primi rimaneggiamenti: venne cambiata
innanzitutto la finalità della struttura che da residenza signorile divenne
carcere mandamentale e vennero aggiunte nuove costruzioni in funzione delle
nuove esigenze. Quando nel 1816 i Colonna rinunciarono ai diritti feudali su
Ceccano, i loro possedimenti, castello incluso, divennero proprietà della
Delegazione Apostolica di Frosinone per poi essere acquistati dal marchese
Filippo Berardi che ne decise il restauro. La rocca nonostante mantenesse
inalterata la sua funzione di carcere, venne "ingentilita" dai
progetti dell'architetto Cipolla, che decise l'aggiunta di un terzo piano con
finestre a trifora e di una merlatura sul terrazzo e sulla torre. Di
quest'ultima fase resta oggi visibile solo l'ultimo piano: a causa
probabilmente delle vibrazioni e degli spostamenti d'aria causati dai
bombardamenti americani subiti dalla città durante l'ultimo conflitto mondiale
caddero i merli e la torre venne mozzata della sua parte superiore. Dopo la
guerra, il carcere mantenne la sua funzione fino al 1973, anno della sua
chiusura. Dopo un periodo di abbandono la struttura venne acquistata alla fine
degli anni'90 dal Comune, che ne decise il restauro. Eseguiti non senza
polemiche, specialmente riguardo al mancato rifacimento delle merlature, i
lavori hanno riconsegnato alla città il castello nelle sue forme originarie,
quelle di rocca fortificata che è possibile vedere in una foto degli ultimi
anni dell'800. Il castello di Ceccano è un tipico esempio di rocca fortificata del Lazio
Meridionale nei secoli XII e XIII, costituita da una cinta muraria, una torre
mastio, un corpo residenziale (palatium) su due piani ad ambiente unico,
sede del signore feudale. Il maniero si raggiunge percorrendo uno stretto
vicolo in curva, rappresentato da un arco gotico datato XII secolo in pietra
calcarea, sovrastato da un’edicoletta, che individua un vano di ingresso posto
davanti alla porta più antica di accesso alla cinta muraria del castello
stesso, anch’essa ad arco gotico con i fori dei cardini in pietra ancora
intatti. Su di un lato dell’arco di ingresso è visibile un segno di croce
incisa sulla pietra che i cavalieri toccavano al passaggio. Attraversando il
vano di ingresso, salendo su una rampa, si giunge a quella che doveva essere la
piazza d’armi delimitata dalla antica cinta muraria, dove è ubicata la cisterna
e sulla quale si affaccia la chiesa di S. Angelo del XVIII secolo ad ambiente
unico a volta e dove domina la torre mastio con le sue camere voltate
sovrapposte, con ancora visibili le antiche feritoie per le balestre e la porta
di ingresso in pietra calcarea. Posta a quasi due metri più in alto del livello
del cortile di ingresso, tipico delle torri medievali. Di fronte alla rampa troviamo un corpo avanzato che
copre il “mastio”. Alla sinistra troviamo un corpo di fabbrica alto due piani
realizzato nel XVII secolo e coevo all’istituzione del carcere; esso ospitava
il tribunale della corte Colonna. Al piano terreno la cancelleria, al primo la
sala delle udienze con un bel pavimento in lastroni di pietra. Questo settore
risulta addossato ad un muro di notevole spessore, che costituiva il muro di
cinta del castello. Osservando tale muro verso l’esterno da Vicolo del Montano,
esso risulta in ultimo tratto rialzato in tufo; quella al di sotto è la quota
dell’antica cinta muraria, realizzata in pietra calcarea. Attraverso il
mastio, l’elemento più antico del fortilizio, si accede ad una sala a volta con
un pilastro centrale (palatium residenziale), le cui pareti perimetrali
sono caratterizzate da due porte gotiche ad arco acuto in pietra, attraverso le
quali da una parte si accede ad una altra torre, inglobata nel volume del corpo
di fabbrica principale, ma con la sua muratura ben visibile e, segnata
anch’essa da due porte gotiche a sesto acuto, e da affreschi del XIII
secolo, in fase di restauro, con figure di monaci raffiguranti i mesi
dell’anno. Ritornando alla sala del pilastro centrale, all’esterno della
stessa, si può ammirare, inglobata nella muratura, l’antica merlatura
ghibellina del castello medievale, facciata impreziosita su di un lato dalla
meraviglia di un occhio ottagonale gotico borgognone, identico a quelli
esistenti sulla facciata della cattedrale di Fossanova e del palazzo comunale
di Priverno. Interessante dal punto di vista architettonico è la soluzione a
tre spigoli, fra loro ravvicinati, del lato est del castello, per il movimento
che essi riescono a dare alla massiccia mole della fortificazione. L’Inventario
Caetani del 1491 testimonia la compiutezza del castello come organismo
policentrico e polifunzionale, che era composto da: una torre mastia e tre
altre torri, sale, camere, cellara, cortigli, correturi, revellini, furni,
cisterne. Vi è un sito dedicato a questo prestigioso maniero: www.castellodeicontidiceccano.it
La seconda e la terza foto le ho realizzate io sul posto.
La seconda e la terza foto le ho realizzate io sul posto.
sabato 15 dicembre 2012
Il castello di domenica 16 dicembre
FOMBIO (LO) – Castello Douglas Scotti
Fu edificato da Alberto Scotti, signore di Piacenza che nel
1299 aveva acquistato il feudo di Fombio, agli inizi del sec. XIV, in posizione
dominante sulla bassura fluviale del Po. Uno degli obblighi dell’infeudato era proprio
quello che dovesse erigere un castello, dove potessero trovare ricovero gli
abitanti in caso di guerra. Un
precedente fortilizio, noto come il "castellazzo", sorgeva invece a
nord del paese; di esso restano solo dei ruderi presso un cascinale verso
Codogno. La storia secolare del Castello Douglas Scotti è indissolubilmente
legata alle vicende di Fombio e, anche se ora appare in uno stato di
trascuratezza, in passato è stato il fulcro di vicende storiche rilevanti per
l’intero Basso Lodigiano. Dal punto di vista architettonico l’edificio è
caratterizzato da possenti mura in mattoni, con pianta ad “U” rivolta a
mezzogiorno. Dei fossati e del ponte levatoio un tempo esistenti non restano
che vaghe tracce, seppure sia possibile immaginarne le fattezze grazie alle
linee di demarcazione ancora presenti. Nel corso dei secoli il nucleo centrale
del ‘300 subì numerosi rimaneggiamenti, sopratutto apportati nel XIX secolo, i
più evidenti dei quali sono rappresentati dall'ampio porticato che si affaccia
sul cortile d'onore e la veranda che collega le due ali del castello. Nelle
sale interne, fra vari elementi architettonici, di particolare pregio è un
soffitto a cassettoni lignei risalente al XV secolo nonché i locali di ingresso
al pian terreno ove ancora si conservano sui soffitti e su alcune pareti
affreschi del XVII secolo. Degno di nota è anche un camino in pietra quattrocentesco,
recante lo stemma degli Scotti. I locali dell'ingresso, al pianterreno,
conservano nei sottarchi a alle pareti tracce di affreschi (grottesche e figure
allegoriche) di buona fattura, risalenti probabilmente al XVII secolo. Sono interessanti
da vedere anche i vasti sotterranei del castello coperti da ampie volte a botte
in mattoni. Il castello fu teatro di numerose vicende belliche, come ad esempio
nel 1314 Galeazzo Visconti, signore di Piacenza, con parte del suo esercito, temendo
che la città venisse presa dai guelfi stanziati a Fombio se ne impadronì e lo
incendiò, facendo prigionieri gli abitanti. Agli inizi del '500 fu invece dato
alle fiamme dai Landi, nel più ampio scenario delle battaglie tra guelfi,
schieramento al quale appartenevano gli Scotti feudatari di Fombio, e
ghibellini. Successivamente il maniero divenne oggetto di contesa anche dei
Trivulzio di Retegno, contrappostisi alla signoria fombiese degli Scotti.
Il castello è soprattutto noto per aver fatto da sfondo alla nota “battaglia di
Fombio”. Tale scontro armato è ancora ricordato con accenti forse
ingiustificatamente epici, tuttavia il combattimento che vide fronteggiarsi,
nel paese e nelle sue immediate adiacenze, un’avanguardia di quattromila
granatieri francesi al comando del generale Lannes ed un manipolo di austriaci
è menzionato come evento-simbolo per il fortilizio fombiese: sciamati nel
Lodigiano dopo aver superato il Po, i transalpini si trovarono ad affrontare un
gruppo di austriaci al comando del generale Lipthay che, disperatamente,
tentarono di arginare l’arrivo dell’esercito nemico. Penalizzati però da una
difesa male organizzata e da un esiguo numero di effettivi, questi ultimi
furono agevolmente messi in fuga dai soldati napoleonici, riparando nel vicino
paese di Pizzighettone, mentre i Francesi riuscirono a raggiungere Codogno. L'edificio,
attualmente di proprietà comunale, è stato recentemente restaurato nella sua
parte aperta al pubblico.
Il castello di sabato 15 dicembre
MESAGNE (BR) – Castello Normanno-Svevo
(scritto da Mimmo Ciurlia)
La posizione eminente del sito e la presenza di acqua
sorgiva nelle immediate vicinanze, spinse gli antichi conquistatori, tra alto e
basso Medioevo, a sceglierlo come sito per erigere un castrum a protezione
della Via Appia tra Taranto e Brindisi. Il documento più antico che menziona il
castrum risale al periodo svevo, datato 1220, quando Federico II ordinava la
demolizione dei castelli privati riservando a se stesso il diritto di
costruirne di nuovi o restaurare e ripristinare quelli già esistenti. Nell’elenco
dei castelli da restaurare è menzionato proprio il Castrum Mejanii. Nel 1256
Manfredi assediò Mesagne per combattere una lega anti-sveva creata tra
Brindisi, Mesagne, Lecce ed Oria. In quella occasione il castrum di Mesagne,
benché fortemente devastato, fu usato come base di appoggio per l’assalto a
Brindisi. Mesagne fu poi ricostruita dagli Angioini nel 1276. In un manoscritto
di fine Cinquecento, lo storico Cataldantonio Mannarino, ci tramanda che il
nucleo più antico del castello, pericolante, fu abbattuto da Giannantonio del
Balzo Orsini intorno al terzo, quarto decennio del ‘400. Al suo posto venne
edificato l’attuale torrione, circondato da un fossato profondo due metri e
largo ben nove. La torre era dotata di un ponte levatoio, probabilmente situato
sul lato meridionale, in corrispondenza dell’auditorium. Infatti le uniche
caditoie, le feritoie da cui si facevano precipitare materiali vari per colpire
il nemico, sono poste su questo lato. La città era protetta da una cinta
muraria che comprendeva anche 22 torrette difensive. Nel XVII, al tempo dei
feudatari di casa De Angelis, subentrati agli Albricci, il castello di Mesagne
assunse le attuali sembianze. Infatti il castello medievale fu trasformato
radicalmente, intorno al 1660 dall'architetto e sacerdote mesagnese Francesco
Capodieci, di cui i De Angelis furono i mecenati e al cui estro si affidarono
per rendere armoniosa l’imponente struttura: a lui si deve la progettazione dei
piani superiori. Negli immensi sotterranei erano state realizzate, tra il
Cinquecento ed il Seicento, diverse “posture" e "cellari", per
la conservazione dell'olio e del vino prodotti nei vasti possedimenti dei
feudatari di Mesagne. I De Angelis spesero somme ingenti per trasformare
l'antico castello in residenza moderna, e attuarono una serie di restauri
destinati ad imprimere all’antico maniero quel volto barocco che avrebbe
conservato fino al giorni nostri. Gli ambienti che caratterizzano il castello
sono il Torrione diviso in cinque camerette in cui si nota la presenza di
feritoie e di stipi. Esse sono dotate di grandi camini che hanno la canna
fumaria in comune. Nella stanzetta centrale vi sono le scale di accesso alle
carceri, ed un pozzo di acqua sorgiva. Nella prima stanza ad ovest si trova
quella che si ipotizza essere una porta o una loggia; accanto alla finestra vi
è un servizio igienico. Alla base del Torrione sono collocate le carceri. Le
celle erano sei, sebbene attualmente soltanto quattro siano accessibili. Vi si
accedeva grazie a due ripidissime scale, oramai del tutto consunte a causa del
tempo. Altra via di accesso era una angusta scala a chiocciola, in parte
crollata e che oggi è stata ricostruita per un breve tratto per consentire
l’accesso a questi ambienti. Le celle sono soffocanti, e si può immaginare in
quale stato versassero i prigionieri, incatenati ad anelli di ferro infissi nel
muro. Le celle collocate a nord sono dotate ciascuna di una piccola finestra,
all’altezza della base della torre. Proprio al centro del castello si trova il
cortile interno ritenuto l’antica piazza d’armi. Qui probabilmente si riunivano
i soldati prima di mettersi in marcia. Un tempo, al centro dell’atrio, vi era
un pozzo con abbeveratoio. Esistono anche due bocche tramite le quali si
raccoglieva l’acqua piovana. Attraverso il cortile si aveva accesso alla
rimessa, ad un magazzino e alla stalla. Dal cortile dove affacciano il
porticato rinascimentale e gli appartamenti nobiliari, si accede ad un loggiato
secentesco che sorge nell’ala occidentale del castello, esattamente sopra la
cantina. Esso fu fatto costruire dal principe Giannantonio Albricci e venne
terminato nel 1661. Si ha testimonianza di questa data, oltre che in alcuni
documenti, anche su un frammento di mosaico collocato sul pavimento. Nel
Seicento la loggia era coperta da un grande tetto in legno, sorretto da una
duplice fila di colonne. Nel mezzo si trovavano vasi con piante decorative. L’ambiente
che più colpisce però è la gran sala che era la stanza di rappresentanza. Qui
si tenevano banchetti e riunioni. La copertura della sala è realizzata con
suggestive capriate lignee, un sistema di copertura in cui le travi di legno
del tetto rimangono a vista. Fino a qualche decennio fa, esisteva un soffitto
di tavole a quadrelli che è andato distrutto nelle varie fasi di vita del
castello. Le pareti presentano preziosi affreschi, raffiguranti stemmi di
casate nobiliari. Sul lato meridionale si osserva una piccola stanzetta, che
era probabilmente adibita a cappella privata. Gli ambienti però che
caratterizzano fortemente il castello di Mesagne sono le neviere e le cisterne.
La neviera era un ambiente sotterraneo, interamente rivestito in legno, in modo
tale da ottenere un discreto isolamento termico. Qui un tempo veniva
immagazzinato il ghiaccio, utilizzato per conservare le vivande. La neve veniva
raccolta sulle montagne delle Murge tarantine e, dopo essere stata compressa in
sacchi di canapa, era condotta a Mesagne e conservata, appunto, nelle neviere.
All’interno del castello esistevano due di questi ambienti: il primo era collocato
sotto il pavimento della stanza sulla sinistra dell’ingresso principale. La
seconda neviera era ubicata sul lato nord-ovest del castello, in corrispondenza
dell’attuale sala mostre. Una delle principali risorse dell’economia mesagnese
è stata nei secoli scorsi la coltivazione dell’olivo e ciò spiega perché questa
città fosse così ricca di frantoi. L’olio prodotto era per lo più conservato
nelle cisterne del castello. Queste in origine erano quattro, della capienza di
circa centomila litri l’una. Successivamente ne furono aggiunte altre due.
L’ultima non è visibile, essendo stata murata negli anni ’50 per problemi di
stabilità della torre. Ogni cisterna è rivestita nella parte inferiore con
pietra calcarea impermeabile e, in quella superiore, con carparo o tufo,
materiali piuttosto porosi: ciò fa supporre che queste vasche fossero riempite
soltanto fino ad un determinato livello. In corrispondenza delle bocche, fori
attraverso cui l’olio veniva introdotto nelle cisterne, ci sono le “pozzette di
decantazione”. Queste servivano per raccogliere gli scarti dell’olio, che, più
pesanti, si depositavano sul fondo. I fori che si osservano nelle pareti, si
rendevano forse necessari per il ricambio dell’aria nella cisterna. Ciò
risultava utile quando si ripulivano queste vasche, che altrimenti sarebbero
state inaccessibili perché sature di gas nocivi. Le porte di comunicazione fra
le cisterne sono state aperte di recente, per rendere questi ambienti
visitabili. La fervida fantasia popolare ha ispirato miti e leggende, che
vedono il castello al centro di incredibili vicende. Quella che più colpisce
riguarda un fantomatico pozzo irto di spade acuminate. Si narra che i
prigionieri dopo essere stati sottoposti a crudeli torture nelle carceri, vi
fossero gettati senza pietà. Questa leggenda è di gusto squisitamente
medievale; essa potrebbe derivare proprio dal fatto che all’interno del
torrione, nucleo più antico del castello, esiste effettivamente un pozzo, la
cui conoscenza incompleta e parziale avrebbe acceso la fantasia popolare. Molti
dicono di aver visto con i propri occhi questo pozzo, ma nessuno sa indicare
con precisione dove esso si trovasse. I mesagnesi più anziani sono certi che il
castello di Mesagne fosse dotato di un corridoio sotterraneo segreto che avrebbe
collegato Mesagne con San Vito Dei Normanni. C’è però chi sostiene che il
tunnel terminasse a Latiano o addirittura a Oria e che il passaggio fosse largo
abbastanza per far passare una carrozza e che fosse illuminato con torce. Il
tunnel partiva probabilmente da sotto il torrione o da sotto la rimessa.
Effettivamente nei castelli, solitamente esisteva una fitta rete di passaggi
segreti. Ciò ha forse determinato la nascita di questa leggenda. Tuttavia, il
passaggio segreto non è stato mai ritrovato, nemmeno durante i lavori di
restauro. Gli ultimi feudatari del castello furono gli Imperiali che nel 1908
cedettero il Castello alla principessa Iran d’Abro Pagradite. Il Castello fu
poi acquistato dal Comune di Mesagne dagli ultimi proprietari, i Granafei, il
15 marzo 1973. Il 23 dicembre 1996 il castello parzialmente restaurato viene
riaperto al pubblico destinandolo a scopi culturali. Il 14 luglio 2001 viene
inaugurato il primo piano. Oggi il castello comunale mostra tutto il suo
splendore; oltre ad essere un bellissimo monumento è anche un importante
contenitore culturale; l’auditorium ospita convegni, conferenze,
incontri e matrimoni civili; il torrione e il piano nobile accoglie mostre temporanee mentre le sale al piano terra accolgono il Museo del Territorio “U. Granafei” con importanti reperti della civiltà messapica.
incontri e matrimoni civili; il torrione e il piano nobile accoglie mostre temporanee mentre le sale al piano terra accolgono il Museo del Territorio “U. Granafei” con importanti reperti della civiltà messapica.
venerdì 14 dicembre 2012
Il castello di venerdì 14 dicembre
CHAMPORCHER (AO) – Castello dei Signori di Bard
Le prime notizie storiche certe di una comunità umana
stabile a Champorcher risalgono al XIII secolo, quando era sotto il dominio dei
potenti signori di Bard. Costoro controllavano anche Hône, Bard, Donnas, Vert,
Pont-Saint-Martin, parte di Arnad ed il mandamento di Châtel-Argent, nell’alta
valle d’Aosta. Del primitivo castello, sorto probabilmente nell’XI secolo, ben
poco si sa. All’inizio del XIII secolo i fratelli Guglielmo e Ugo intrapresero
tra loro una guerra, durata fino al 1214, che portò, tra l’altro, all’incendio
del maniero e del borgo di Donnas. E’ noto che il castello fu bruciato per
volere di Ugo di Bard, il che fa supporre che fosse costruito in gran parte in
legno, come molti edifici alto-medievali. Fu probabilmente ricostruito nello
stesso secolo, sicuramente prima del 1276, quando già necessitava di essere
ricoperto di tegole di legno. La tradizione popolare vuole che esistesse, sulla
Corseria (attuale sagrato della Chiesa), un vero e proprio castello con una
cappella, che sarebbe poi diventata la prima chiesa parrocchiale. Il territorio
di tutta la valle di Champorcher fu in seguito diviso in due parti chiamate “ressorts”
assegnate ai due fratelli. Nel 1242, a causa del rifiuto di Ugo di Bard di
riconoscere la dipendenza feudale dal conte Amedeo IV, il castello e la sua
metà del feudo della valle di Champorcher furono incamerati dai Savoia, che lo
gestirono direttamente fino alla fine del Cinquecento. In seguito i signori di
Savoia concessero questo ressort in feudo a piccoli signori locali, ufficiali
dell'esercito sabaudo, funzionari di corte o ricchi commercianti nobilitati
(Jean-Jacques Riccarand, Pompeo Bruiset, Jean-François Freydoz). L’altra metà
restò ai discendenti di Guglielmo di Bard (divenuto, dal 1214, signore di
Pont-Saint-Martin) fino al 1737, quando, a causa dell'estinzione della
famiglia, passò anch’essa ai Savoia e da costoro fu infine venduta nel 1746 ai
Freydoz, che possedevano già l'altro ressort. Dell’antica fortificazione sopravvive
ancora la torre, posta su un piccolo
promontorio roccioso, a pochi passi dalla chiesa parrocchiale. E’ a
pianta quadrata, con 6,40 metri di lato, e un'altezza di circa 15 metri, coronata
da merlatura a coda di rondine e
la sua porta di ingresso, a cui si accedeva solo con una scala a pioli, è a circa 4 metri dal
suolo. Un tempo era divisa da soppalchi
in legno, in ambienti sovrapposti sopra un buio magazzino che fungeva da
base. L'interno era illuminato da strette feritoie, riscaldato da un camino e servito da latrine sporgenti che consentivano,
nella buona stagione, la permanenza di una piccola guarnigione. Usata durante il Medioevo come torre di
segnalazione e di controllo delle terre circostanti per scoprire prontamente
eventuali intrusioni dei signori confinanti, dopo la sua distruzione nei primi
anni del XIV secolo, fu successivamente ricostruita per ordine dei Savoia. I
lavori principali consistettero nel
rifacimento della copertura, nella costruzione di un camino in pietra, nella
realizzazione di sei aperture, di una scala in legno, dei merli e di un
avampiede. Infine furono costruiti una sorta di ponte levatoio e una cortina muraria di circa 150 metri intorno al
Castello. Il maniero non fu mai
residenziale, ma un avamposto militare, munito di armati nei momento di pericolo. Negli anni Ottanta la
Torre ha subito un nuovo restauro,
grazie all’intervento della Sovrintendenza del Ministero dei beni culturali. E’
considerata il simbolo di Champorcher.
giovedì 13 dicembre 2012
Il castello di giovedì 13 dicembre
VIPITENO (BZ) – Castel Tasso (o Schloss Reifenstein)
Risalente al XII secolo, è un suggestivo
esempio di fortezza medievale, considerato giustamente uno dei castelli più
belli di tutto l'Alto Adige. Posizionato in mezzo ad una palude bonificata
(Sterzinger Moos) a Campo di Trens, si erge su un dosso roccioso, a pochi
chilometri dal centro abitato, in posizione di controllo della vallata. Fu
menzionato per la prima volta in documenti scritti nel 1100 come feudo dei
Conti bavaresi Lechsgmünd, mentre dal 1100 la rocca fu data ai Signori di
Stilfes. La torre rotonda costituisce il nucleo del castello e la sua prima
citazione in documenti ufficiali risale al 1240. Per duecento anni il maniero
fu sottoposto alla sovranità del Tirolo che nel corso degli anni lo diede in
feudo a diverse famiglie nobiliari. Nel 1405 la proprietà passo alla famiglia
dei Signori di Sabiona (Säben). In seguito all’estinzione della famiglia la
proprietà passò al Duca Sigismondo, il quale però nel 1470 vendette Castel
Tasso all’Ordine Teutonico, al quale è dovuto il suo aspetto attuale e gran
parte dell'arredamento tardogotico che ancora conserva. Dal 1813 divenne
proprietà dei Conti Thurn un Taxis di Ratisbona, cui ancora appartiene. Poichè
il castello non fu mai conquistato o devastato, ancora oggi è ben conservato ed
all’interno troviamo moltissimi oggetti e mobili di tempi passati. Della
struttura fa parte anche la piccola cappella di San Zeno, presso la quale sono
stati ritrovate bare di legno baiuvari risalenti al IV e VIII secolo, due delle
quali si possono vedere in una sala del castello, mentre le altre sono
conservate nel Museo archeologico dell’Alto Adige. La cappella è preceduta da
un eccezionale cancello di legno abilmente intagliato e traforato con raffinati
motivi geometrici. Il profondo fossato tra la parte antistante il castello e la
struttura principale è ancora oggi sormontato da uno storico ponte. All’interno
di Castel Tasso si possono visitare ben 10 stanze in quasi perfetto stato di
conservazione, tra cui spicca ad esempio la grande cucina duecentesca.
Impressionante è anche la vecchia torre d'abitazione ancora intatta con il
dormitorio per gli scudieri a scomparti che ha la forma di un grande cassone di
legno. Preziose testimonianze della ristrutturazione quattrocentesca sono la
splendida sala Verde, così chiamata per il colore della decorazione pittorica
che simula un rilievo. Alla fine del quattrocento risale anche la cosidetta “camera
del Capitolo” che conserva l'arredamento originale. Meritano una visita anche
il porticato, la prigione scavata nella roccia, la
“sala degli uomini” (dove il signore e gli armigeri si ritrovavano per mangiare
ma anche per fustigare i prigionieri alla colonna di legno che conserva ancora
tracce di tali torture), la “sala delle dame” (contenente vecchi e preziosi
arcolai e bauletti intarsiati). Un'antica leggenda narra che per porre fine
alla guerra che si trascinava da anni fra Castel Tasso e il vicino Castel
Pietra (Schloss Sprechenstein), posti l'uno di fronte all'altro sugli opposti
versanti della valle, venne deciso di affidare le sorti del conflitto ad un
duello di tiro con l'arco. I due signori impegnati nella sfida, saliti ciascuno
sulla torre del proprio castello, imbracciarono l'arco e scoccarono la freccia
fatale. Ma la loro abilità fu tale che le due frecce s'incontrarono a mezza
strada, cadendo entrambe nella vallata. Quanto accaduto venne interpretato come
un ammonimento divino a non continuare quella futile guerra che aveva arrecato
soltanto danni agli abitanti, ai campi e ai possedimenti dei due feudi.
mercoledì 12 dicembre 2012
Il castello di mercoledì 12 dicembre
SILIQUA (CA) – Castello dell’Acquafredda (o del Conte
Ugolino)
Edificato dai Pisani intorno al 1215 in posizione strategica,
su una collinetta vulcanica da cui controllava l'accesso dal Cagliaritano verso
la ricca città mineraria di Iglesias (argento, zinco e piombo), è forse il più
scenografico di tutta la Sardegna. Il suo nome deriva probabilmente da una
sorgente d’acqua fresca che ancora oggi sgorga tra gli anfratti rocciosi. Intorno al 1257 divenne
proprietà della famiglia pisana dei conti Donoratico della Gherardesca, nel
periodo della Sardegna Giudicale, durante il quale fu forte l'influenza Pisana
nell’isola. Della costruzione principale, che aveva una pianta a U, restano
alcuni muri con merlature e feritoie, su cui si possono vedere alcuni stemmi
scolpiti, tra cui l'aquila della famiglia della Gherardesca. Il più famoso proprietario
del castello
fu il celeberrimo Conte Ugolino, citato da Dante
nella Divina
Commedia nell'atto di cibarsi dei suoi figli (XXXIII° canto
dell'Inferno), una leggenda, quella del cannibalismo del Conte, che fu poi
smentita da successivi studi scientifici sulle sue ossa e dovuta alle tristi
vicende familiari. Considerato traditore dai ghibellini, guidati
dall'arcivescovo Ruggieri degli Ubaldini, venne infatti rinchiuso nella Torre
della Muda, di proprietà dei Gualandi, a Pisa, una durissima prigione per lui,
i figli Gaddo e Uguccione, e i nipoti Anselmuccio e Lapo, dove morì di fame nel
1288. Invece, una tradizione locale fa ritenere che il conte Ugolino sia stato
imprigionato nel castello di Acquafredda nella torre della fame, dove sarebbe
morto dopo un anno. Il castello divenne proprietà della Repubblica Pisana per
passare, dal 1326 al 1410, in mani Aragonesi e in seguito a diverse famiglie
feudali, ma non venne più abitato e cadde progressivamente in abbandono. Venne
riscattato dal Re di Sardegna Vittorio Amedeo III di Savoia nel 1785. La
struttura difensiva del maniero è piuttosto complessa e si sviluppa su più
livelli, sulla
vetta a 256 metri s.l.m.
c'è il cuore
della struttura, cioé il Mastio centrale ovvero l'abitazione
del castellano, cui si accedeva attraverso un ponte levatoio. Aveva due livelli
più la sottostante cisterna, rimangono ancora in piedi i prospetti a nord-ovest
e sud-est, che si ergono per 20 metri d'altezza con i loro merli
guelfi. Di fronte al mastio svetta ancora possente la Torre di Guardia
(248 metri s.l.m.),
che i locali chiamano Torre de s'impicadroxiu (Torre dell'impicco), un nome
sinistro che molto dice sull'uso della torre stessa probabilmente come
prigione. A circa 200
metri s.l.m. svetta la poderosa struttura muraria della quadrangolare Torre
Cisterna che ha la caratteristica di rimanere isolata rispetto
alle altre strutture difensive. Inutile dire l'importanza che doveva avere l'acqua
per la vita del castello e della sua guarnigione. Sito a circa 154 m s.l.m.,
il Borgo
militare era protetto da un'alta cinta muraria e difeso
da tre torri,
due delle quali sono ormai andate ditrutte, nell'unica rimanente si può
leggervi la struttura su 3 livelli e solai in legno. Nel borgo alloggiavano i soldati,
si trovavano i magazzini del castello, che contenevano dalle armi alle
scorte alimentari. Probabile anche la presenza di una chiesa (di Santa
Barbara), mai però confermata. L'ascesa al castello è abbastanza agevole, anche
se è praticabile solo a piedi. Con un decreto legge del 1993, il sito
denominato“Domo Andesitico di Acquafredda”, è stato istituito a Monumento
Naturale. Alla base del colle che ospita il Parco naturale e archeologico del
Castello di Acquafredda vi è un'ampio bosco nel quale sono stati
allestiti dei tavoli picnic. Vi è anche un chiosco
bar-noleggio mountain bike e un’area sosta per camper. Il sito è gestito dalla
Cooperativa Antarias di Siliqua. Il castello ha un suo sito web: http://www.castellodiacquafredda.it,
inoltre si possono trovare altre notizie anche al seguente link: http://www.comune.siliqua.ca.it/Menu.php?menu=2321
lunedì 10 dicembre 2012
Il castello di martedì 11 dicembre
PIEGARO (PG) – Castello di Cibottola
Il castello di lunedì 10 dicembre
MONTELPARO (FM) – Torre civica
Il nome del paese sembra derivare da quello di Elprando o
Eliprando, un condottiero longobardo che nell'alto medioevo costruì un castello
con una prima cerchia muraria tra il VII e l'XI secolo. Seguì un lungo e
florido periodo sotto l'ala protettrice dei Farfensi della vicina Santa
Vittoria in Matenano. I monaci costruirono sul colle anche un monastero e la
chiesa di San Michele Arcangelo, oltre a una seconda cerchia muraria risalente
ai secoli XII–XIV: a questa cinta appartiene il bastione cilindrico della torre
civica nell'edificio del municipio (secoli XIV-XV). I resti degli altri
bastioni di difesa mostrano come sia stato privilegiato un disegno
ripetutamente cilindrico. Il paese divenne talmente importante da meritare
l’appellativo di Magnifica Communitas. Già nel tredicesimo secolo Montelparo si
era costituita in Libero Comune, regolato da propri Statuti: nel 1257 venne
esentato da fra Leonardo, procuratore dell’abate di Farfa Giacomo, dal
pagamento del censo annuo di 50 monete dovuto all’Abbazia, mentre nel 1290 Papa
Niccolò IV riconobbe alla comunità montelparese il privilegio di eleggere il
Podestà. Negli anni successivi Montelparo ottenne dai vari pontefici altre
concessioni e indulgenze, che vennero ampiamente confermate prima da Papa
Urbano VI nel 1379, con un documento nel quale si affermava che il castello di
Montelparo non doveva mai essere assoggettato o dato in feudo, e poi da un
decreto del cardinale di Aquileia del 1445. Proprio in tale anno il centro riacquistò
la propria libertà dopo che era stato occupato, insieme agli altri territori
del Presidiato Farfense, dalle truppe del Conte Francesco Sforza di Milano. In
questo periodo, quando venne tra l’altro iniziata la costruzione della terza
cerchia di mura, la popolazione di Montelparo raggiunse i 5.000 abitanti, con
il paese che disponeva di un ospedale, di un monte di pietà e di un monte
frumentario. I privilegi e l’importanza acquisiti vennero meno a partire dal
1587, quando Papa Sisto V creò il Presidiato di Montalto, entità politica
destinata a sopravvivere fino al dominio napoleonico del quale Montelparo entrò
a far parte. La decadenza di questo illustre centro venne sancita da alcuni
drammatici eventi naturali: nel 1683 iniziarono degli smottamenti del terreno
che provocarono i primi danni; altri fenomeni tellurici si susseguirono negli
anni successivi, fino al devastante terremoto del 2 febbraio 1703, durante il
quale tutta la parte centrale del paese, compreso il vecchio Palazzo comunale,
sprofondò in un’immensa voragine.
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