venerdì 1 febbraio 2013

Il castello di venerdì 1 febbraio




ARQUA’ POLESINE (RO) – Castello estense

E' il monumento medioevale più rilevante e meglio conservato nel Polesine, sopravvissuto a tutte le fortezze costruite lungo il Canalbianco, che in quel tempo era la via d'accesso principale. Il complesso si compone di una torre merlata medioevale (suddivisa in tre piani), di un corpo di fabbrica che si apre verso il cortile con tredici arcate seicentesche, del granaio e delle scuderie. Conserva ancora il fossato tutto intorno e per accedervi occorre superare un ponte, non più levatoio, ma sufficiente a richiamare l'originaria sensazione di accesso al castello. Risale al 938 il primo documento che cita Arquà in una donazione alla chiesa di Adria da parte del feudatario Marchese Almerico. Già a quei tempi il centro era importante per la posizione di controllo sulla Pestrina, chiamata pure Fosse Filistine. Guglielmo III dei Marchesella, signore di Ferrara, vi fece costruire nel 1146 un castello per difendersi dagli Estensi, che già miravano alle terre polesane. Nel 1187 un figlio di Obizzo d'Este, sposando l'unica figlia ed erede di Adelardo, reggitore di Ferrara, venne in possesso del castello: ebbe così inizio la dominazione estense. Nel 1308 il castello fu centro della lotta tra due fratelli di casa d'Este che si contendevano il dominio di Ferrara. Per tutto il perdurare della dominazione estense il castello assunse la funzione di fortificazione e la sua struttura rispecchiò questo carattere difensivo attraverso una tripartizione degli spazi: una torre alta, - con basamento a tronco di piramide coronato da una cornice tre piani di ordini diversi di finestre binate ad arco a tutto sesto disposte lungo un asse verticale con copertura a sezione triangolare e tetto a quattro falde privo di coronamento merlato. Alla destra una torre di dimensioni inferiori alla precedente con basamento a tronco di piramide, un ordine di finestre binate ad arco a tutto sesto e una porta di ingresso alla torre; tra le due torri un corpo di fabbrica principale a “ponte” dotato di finestre disposte lungo un asse orizzontale. Nel 1395 il Marchese Nicolò d'Este cedette il Polesine ai Veneziani, in cambio di un prestito di 50 mila ducati. Arquà, passata sotto il nuovo dominio, acquisì importanza strategica per la sua posizione di transito tra Venezia e Ferrara. Il castello rimase nelle mani dei Veneziani fino al 1438, anni in cui venne ceduto nuovamente agli Estensi, per evitare l'alleanza di costoro con il duca di Milano. Ma già nel 1482 i Veneziani si riappropriarono del castello, in seguito alla "guerra del sale", scoppiata contro gli Estensi. Il maniero fu in seguito comprato dalla nobile famiglia veneta Diedo che lo abbellì con affreschi e lo trasformò in residenza con adiacenze per conservare i prodotti agricoli. Nel 1621 l’ultima erede Elena Diedo contrasse matrimonio con Girolamo da Mula e alla sua morte il castello andò ai figli Da Mula. Dal ’600 all’800, parte del castello fu adibita a edificio ad uso scolastico Nel 1811 la fortezza passò alla famiglia Treves; attualmente è di proprietà del comune di Arquà ed è interessata ogni anno dalle manifestazioni del “Maggio Arquatese”. La metamorfosi strutturale cui l’edificio andò incontro a metà del ’500, si tradusse in un cambiamento funzionale: la torre andò incontro all’apertura di quattro ordini di finestre ad arco a tutto sesto disposte lungo un piano verticale su aperture già preesistenti, nuova forometria, innalzamento della quota di calpestio del terzo piano ed inserimento di una doppia cornice marcapiano orizzontale tra il secondo e il terzo piano ai lati sud, est ed ovest, allo scopo di ingentilire le facciate della torre prospicienti il cortile interno. All'interno del maniero spiccano tre sale: la Stanza di Fetonte, sulle quatto pareti della quale è rappresentato in un affresco cinquecentesco, il mito di Fetonte, figlio del Sole, che drammaticamente finì la sua vita sulle rive del fiume Po, un tempo Eridano; la Stanza Centrale, dove è utile menzionare l’affresco presente nel soffitto raffigurante il Po, che dona rami d’olivo e palme alla vicina Venezia (l’affresco ricorda un’opera presente nella sala delle udienze del Palazzo Ducale di Venezia eseguita da Paolo Veronese) e gli affreschi alle pareti raffiguranti scene allusive alle virtù teologali, Fede, Speranza e Carità e alle virtù cardinali della Giustizia e della Fortezza; la Stanza del Camino, caratterizzata da affreschi in cui compaiono delle iscrizioni in appositi cartigli: ad esempio, l’iscrizione “Deum time” (timore di Dio).

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