venerdì 26 luglio 2013

Il castello di giovedì 25 luglio







RIONERO SANNITICO (IS) – Castello Ducale

L'abitato, dall'andamento tipico montano, sorge a 1051 metri s.l.m.; è attraversato dalla SS. n.17 e l'ambito dalla SS. n.652 "Fondovalle Sangro", utilizzata per gli spostamenti verso l'Abruzzo (Parco Nazionale, impianti sciistici di Roccaraso) o la Campania. Non abbiamo molte informazioni sull'origine di questo paese; anticamente si chiamava "Rivinigri", forse riferendo il nome al "Rio" che, generandosi nel suo agro, va a divenire un affluente del Volturno. La notizia più antica che si conosce del centro, almeno per quanto riguarda l'età feudale, è che il suo agro apparteneva alla Badia di S. Vincenzo al Volturno cui venne usurpato nel 1064. Si sa inoltre che, visto l'accaduto, l'abate di S. Vincenzo chiese l'intervento del papa Alessandro II che, però, lasciò le cose inalterate. Durante il dominio normanno, fu data in feudo ad alcuni signori del luogo e alla metà del XII secolo a Oderisio de Rigo Nigro che lo tenne insieme ad una parte di Montenero, Fara e Civitavecchia che complessivamente valevano una rendita che lo obbligava a sostenere due militi nell’esercito. Oderisio teneva anche i feudi di Collalto e Castiglione che oggi sono frazioni poco abitate di Rionero, mentre Montalto apparteneva in quel tempo a Berardo figlio di Ottone. Nel 1381 Rionero fu concessa ad Andrea Carafa conte di Forlì, non si sa molto della sua vita nel borgo, solo che lasciò il feudo al figlio Carlo il quale divenne intestatario restandovi fino al 1418. Nel 1443, Rionero passò in feudo alla casa di Sangro, casato piuttosto potente; i Sangro godevano, infatti, di titoli nobiliari a Napoli e in varie zone sia campane che pugliesi ed in seguito riuscirono a divenire anche signori di Casacalenda. Costanza di Sangro ebbe il feudo dopo il matrimonio con Antonello di Rionegro, in seguito decise di alienare l'ottava parte del feudo in favore di Luca Loffredo e di Giovannantonio e Troiano di Montaquila. Queste due famiglie, insieme a quella dei Sangro, tennero in dominio Rionero forse fino alla caduta della dinastia aragonese. Nel XVI secolo il feudo tornò sotto il dominio dei Carafa grazie a Bartolomeo. Pur se quest'ultimo iniziò anche la dinastia dei Carafa a Pietrabbondante, bisogna dire che a Rionero vi furono altri intestatari e che il dominio della famiglia durò molto di più. Nel 1514 passò nelle mani di Adriano Carafa che, dopo aver sposato Caterina della Marra, ebbe vari figli tra cui Andrea, suo successore. A quest'ultimo seguì Adriana, moglie di Andrea Severino, poi toccò al loro figlio Niccolò. Questi era certamente intestatario del feudo nel 1539 e dovette assegnarlo alla moglie Lucrezia Pignatelli in ipoteca a garanzia dotale. Il sesto intestatario dei Carafa fu Ferrante, duca di Nocera e conte di Forlì nel 1586; venne poi la volta di Giovannantonio. Quest'ultimo morì nel 1632, mentre suo figlio Adriano passò a miglior vita appena dieci anni dopo. Il feudo venne quindi alienato in favore di Alfonso Carafa, duca di Montenero, per 17000 ducati. Alfonso sposò Beatrice Bucca da cui ebbe Antonio. Della discendenza di quest'ultimo non si sa quasi nulla, solo che tra il 1764 e il 1781 il feudo venne  venduto all'asta e che poco dopo, però, divenne bene permanente del demanio. Nel 1807, in seguito alle riforme napoleoniche Rionero venne associato al distretto di Isernia. Oggi sono ancora visibili i ruderi del Palazzo Ducale costruito dai duchi Carafa nel Seicento con funzioni prettamente militari. Il castello evidentemente nacque da una esigenza strategica di controllare uno dei passi fondamentali tra la valle tirrenica del Volturno e quella contigua adriatica del Sangro. Ha un impianto piuttosto semplice che sembra generato da una originaria torre quadrata che aveva la funzione di mastio di protezione ad una modesta articolazione di ambienti attorno ad una piccola corte interna. Del mastio rimane la struttura originaria che ancora tiene nella sua parte interrata un cisterna che raccoglieva con un sistema di canalizzazioni tutte le acque meteoriche. I vari livelli sono ancora collegati da una pregevole, per quanto semplice, scala elicoidale tutta in pietra che molto probabilmente fu realizzata quando il maschio fu trasformato in una sorta di ingresso secondario con l’apertura di una porta a diretto contatto con lo spazio pubblico esterno. L’ingresso principale doveva coincidere con quella gradonata che ancora sopravvive sul lato orientale e che permetteva di raggiungere direttamente il livello superiore del complesso. Un grande ambiente parzialmente sotterraneo, con una volta a tutto sesto, permette di ipotizzare che al piano superiore si sviluppasse un salone che ebbe bisogno di un intervento di consolidamento mediante l’inserimento di due belle colonne che, essendo fin troppo raffinate per un ambiente sotterraneo, sembrano essere state prelevate da un altro luogo per essere utilizzate semplicemente come provvisorio sostegno della volta pericolante. Ormai tutto è crollato, ma le parti sopravvissute sono costituite da elementi che comunque dovrebbero sollecitare un intervento di restauro che permetta di recuperare il senso delle sua storia. Nell'area del castello sono degni di nota i ruderi della Chiesetta di S. Antonio di cui rimane un portalino neoclassico con due belle mensole a voluta che limitano la lapide che ricorda il suo restauro ottocentesco curato dai Laurelli che ne hanno mantenuto lo juspatronato fino alle vendite dell’intero complesso ormai ridotto ad un ammasso di rovine. Quando nel 1853 fu eseguito  questo restauro, all’interno della cappella ancora si conservavano le due tombe di Alfonso Carafa e di sua moglie Beatrice Bucca d’Aragona con l’epitaffio che ne ricordava i titoli. Di questa lapide non vi è più traccia.

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