venerdì 17 gennaio 2014

Il castello di sabato 18 gennaio






NOVI VELIA (SA) – Castello longobardo-baronale

E’ disposto in una posizione strategica da cui è possibile osservare l’intero territorio del Cilento dal Mar Tirreno del Golfo di Velia alla catena degli Alburni, e, nei giorni senza foschia, anche la costiera amalfitana con i monti Lattari e le sue località abitate, la penisola sorrentina e Capri.
La prima notizia documentata dell'esistenza di Novi si trova in un diploma del 1005 con cui il principe di Salerno Guaimario IV fa dono dei suoi possedimenti a Luca, abate del monastero di Santa Barbara, sito in territorio "de Nobe". I normanni Umfredo e Guglielmo d'Altavilla, che avevano esteso i loro possedimenti nel Cilento, spostarono la curia da Sicignano a Novi e la affidarono a Guglielmo de Magna, ossia de Alemagna, appartenente ad una famiglia di chiare origini germaniche. Al tempo della guerra del Vespro (1298) proseguirono i lavori di costruzione (iniziati nel 1291) del nuovo palazzo feudale iniziato da Guglielmo Marzano, Signore dello Stato di Novi, che sostituì il castello longobardo costruito probabilmente intorno all'XI secolo, e donato ai Celestini assieme al santuario della Vergine del Sacro Monte. Il nuovo castello fu trasformato e fortificato nel 1323 da Tommaso Marzano duca di Sessa, barone di Novi e principe di Rossano, che lo dotò di possenti torri che destarono non pochi sospetti sia nei principi salernitani che in Roberto d'Angiò. Re Carlo II, con suo ordine del 26 ottobre 1297, stabilì di non abbattere e diroccare il nuovo Castello di Novi, come prima era stato ordinato, in quanto questa «nuova Fortezza era veramente propugnacolo assai buono contra nemici e da esso Guglielmo ben munita». Il Palazzo appartenne ai Marzano, assieme alla baronia di Novi, per tutto il periodo del Regno degli Angioini fino al re Ferrante d’Aragona, contro il quale Marino, che ne aveva sposato la sorella, e ultimo successore della potente famiglia dei Marzano, tramava per il ritorno degli Angioini sul trono di Napoli. Marino fu arrestato e imprigionato con la confisca di tutti i suoi possedimenti tra cui la Baronia di Novi con il suo Castello. Il Palazzo assieme alla baronia subì le vicissitudini del Regno di Napoli del periodo rinascimentale; fu venduto prima a De Petrucis, primo ministro del re Ferrante, quindi a Berlangiero Carrafa, maggiordomo del Re Federico d’Aragona e successivamente a Giulia Carrafa, figlia ed erede di Berlangiero, la quale sposò Camillo Pignatelli, Conte di Borrello, che divenne, così Barone di Novi; la Baronia di Novi con il suo castello rimase alla famiglia Pignatelli per tutto il ‘500 fino al ’600. Il castello conobbe il periodo di massimo splendore proprio quando il feudo appartenne ai discendenti di questa famiglia e in particolare al duca Ettore Pignatelli che fu Gran Contestabile e Grande Ammiraglio del Regno di Sicilia. Nel 1660 la Regia Camera della Sommaria ordinò all’ing. Cafaro l’estimo della Baronia di Novi nella quale è riportato che vi «…Si trova una torre quadra alta ed antica supra un poco di relevato del medesimo monte. Serve oggi di Carcere. Sotto il quale è il Palazzo del Barone di Stato nel quale si entra per una porta e si trova il cortile scoverto grande … All’incontro detta porta è quella sala grande che sta al piano del cortile … e a destra due camere grandi all’incontro le quali sono altre camere e una loggia verso ponente e mezzogiorno dalle quali si vede tutta la terra e quasi tutti i suoi casali e buona parte del Cilento. Marina di Castello a mare della Bruca ed altro…». L'ingresso principale è rappresentato da un portale in pietra calcarea locale composto dalla soglia, in cui è possibile individuare bilateralmente i punti di ancoraggio del portone in legno, l’arco sommitale a tutto sesto, a conci cuneiformi terminanti al centro con il concio in sommità (chiave); le estremità dell’arco poggiano lateralmente sui due colonne a conci rettangolari; sulla faccia anteriore dei due conci basali, uno a destra e uno a sinistra sono riportate figure, che ricorrono frequentemente nell'iconografia longobarda. A sinistra la figura richiama probabilmente una fibula, mentre a destra è chiaramente visibile la figura del fiore della vita a otto petali, simile a quello raffigurato alla base della fonte battesimale in pietra della Chiesa parrocchiale di S. Maria dei Lombardi, a riprova della presenza longobarda a Novi, assieme ad altre significative testimonianze. Nel 1682 il castello fu venduto alla famiglia Zattera, che, ottenuto dal Re Carlo III nel 1752 il titolo di marchese, tenne il Feudo di Novi fino alla sua soppressione, avvenuta con i francesi all’inizio dell'Ottocento. Giacomo Zattera lo trasformò in palazzo gentilizio. Nel 1902, gli eredi dell'ultima marchesa Zattera lo vendettero a tre famiglie del luogo che trasformarono completamente il castello in abitazioni.



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