venerdì 30 maggio 2014

Il castello di sabato 31 maggio






di Mimmo Ciurlia

GRAFFIGNANO (VT) – Castello Baglioni

Graffignano sorge nella parte orientale della provincia di Viterbo, a 187 metri d’altezza nel comprensorio della Valle Teverina, a pochi chilometri dal confine con l’Umbria. Il documento più antico in cui compare il suo nome è quello in cui vengono riportati i confini tra Orvieto e Viterbo nel 1274. Graffignano fu quindi, fin dalle origini, possedimento di Viterbo. L'atto di sottomissione a Viterbo, per il castello di Graffignano, fu rogato dal notaio Egidio Bono il 12 marzo 1282, al tempo del Pontificato di Martino IV. Fra i primi feudatari figurano i Conti Da Persano, di origine longobarda, come è scritto presso l’archivio Comunale di Viterbo, che dominavano sulle terre conosciute come Selva Pagana. Successivamente la zona passò dapprima sotto il dominio della famiglia Baglioni di Orvieto e quindi sotto quello di Viterbo, che tra il XIV e il XV secolo aveva consolidato una posizione di rango nelle lotte tra Papato e Impero. Per il feudo di Graffignano seguì un periodo di relativa tranquillità, consacrata anche dal matrimonio tra la viterbese Guitta Gatti (figlia di quel Raniero legato al conclave di Viterbo del 1270) e Simone Baglioni. Graffignano continuò a condividere, nel bene e nel male, le sorti del capoluogo della Tuscia. Coi Prefetti di Vico, padroni della città di Viterbo nella prima metà del XIV secolo, si registrarono frequenti episodi di intolleranza, resi ancor più incontrollati dal trasferimento della sede Papale ad Avignone. Dopo la restaurazione, favorita dal cardinale-guerriero Egidio Albornoz, cui si deve il ritorno del Pontefice a Roma, Graffignano tornò ai Baglioni che avevano offerto al Papa un aiuto determinate nella lotta contro i Di Vico. La nobile famiglia di origine orvietana tenne il castello, con alterne vicende, fino al XVII secolo, quando passò a Domitilla Cesi, vedova di Adriano Baglioni. Fu
grazie a questa donna illuminata che si diffuse il culto per san Filippo Neri, ancor oggi molto vivo.Alla fine del secolo XVII i territori passarono sotto la famiglia Borromeo. Eminenti personalità di questa famiglia figurano come signori del castello, fra cui lo stesso Cardinale Federico Borromeo. Nel 1741 il feudo venne eretto a principato da Benedetto XIV e venduto al principe romano Scipione Publicola di Santa Croce, che ridiede nuova vita ad un territorio lasciato da anni alla rovina. Il castello in origine aveva una funzione essenzialmente militare: a nord era difeso dalla naturale struttura del terreno, mentre a sud aveva una cortina muraria, a est essendo la parte più esposta, doveva avere una fortificazione con fossato e torri. Il maniero, con la sua forma rettangolare e torre cilindrica alta una ventina di metri (una seconda torre è attualmente un rudere), è uno dei simboli più significativi dell'architettura di castelli del Viterbese e al contrario di altre rocche, non è collocato in un luogo elevato, bensì sopra una rupe di tufo dalla quale non si ha una visione diretta del fiume Tevere. Tuttavia la sua funzione era determinante per il controllo delle strade che univano il fiume ai castelli dell'entroterra posti a difesa delle città di Viterbo e Montefiascone. Le finestre ad arco, la cornice dei beccatelli finemente decorata, i ricorsi scanalati delle mensole e, comunque, un certo gusto decorativo mostrano una ricerca stilistica influenzata sicuramente dal vicino ambiente toscano. Attualmente l'ingresso principale del castello è quello che dà sulla piazza Vittorio Emanuele II aperto verso la fine del Settecento dai Principi di Santa Croce. Varcata la soglia c'è un ampio cortile con pavimento a ciottoli disposti a ventaglio convergenti verso una cisterna per la raccolta dell'acqua piovana. Intorno a questo, si aprono diversi ambienti, a sinistra un ingresso immette in un'ampia sala d'armi con volte a vela poggianti su capitelli in pietra. Queste volte sorreggono gli ambienti dei piani sovrastanti senza altro tipo di sostegno. Nella parte sinistra della sala, inglobata nel muro, vi è una scaletta segreta "a lumaca"  che conduce all'appartamento del piano superiore. A destra del cortile, una porticina conduce alla torre percorsa da una scala a chiocciola che permette l'accesso a cinque vani con volta a cupola. La torre, architettonicamente ragguardevole, venne tirata su in grossi pietroni e oggi risulta purtroppo privata della sua merlatura originale sacrificata, come quella di tutto il perimetro murario, per la costruzione del tetto in legno. Sempre nel cortile , troviamo la scala del Palazzo. Sul pianerottolo del primo caposcala vi è a destra l'ingresso della cappella privata. Proseguendo la scala, si giunge all'ingresso degli appartamenti nobili e poi al terzo piano della torre. Entrando al primo piano nobile, si apre il salone d'ingresso con una superficie di  mq. 71,5 ed un'altezza di mt. 4,30. Il soffitto è in legno cassonettato con travi portanti ed pavimento in terracotta. Nel salone è posto il cosiddetto "tronetto" un inginocchiatoio barocco in legno, con putto scolpito di notevole fattura. Nell'angolo di sinistra è collocata una portantina principesca della fine del XVI sec. completa di vetri. Un breve corridoio immette, a destra nella sala da pranzo, a sinistra in un salotto nel quale si trova un camino del Duecento, con inciso " A laude de IHS". Di fronte al camino vi è un doppio confessionale barocco che nella parte anteriore è stato trasformato in armadio. Dal salotto si accede allo studio in cui vi è un austero camino del Duecento. In fondo al corridoio si trova l'accesso agli ambienti di una palazzina settecentesca, chiamata anche "Casa Brenda", formata da diversi appartamenti. Sull'architrave in pietra dell'ingresso è stato posto lo stemma degli ultimi proprietari , i conti senesi Bulgarini d'Elci.Il secondo piano del castello è attualmente disabitato e da questo si accede al camminamento di guardia ed alla veletta sovrastante un antico orologio. Il castello presenta diversi piani sfalsati sotto il livello del terreno, un tempo usate come carbonaia, cantina e prigioni. Intorno all’edificio, si dispongono le cosiddette "case di dentro" con le caratteristiche scale esterne e le cantine, già adibite a stalla. Attualmente è gestito dall'amministrazione comunale di Graffignano ed è divenuto ormai sede regolare di manifestazioni culturali e artistiche. E' visitabile solo durante il fine settimana.
Fonti: testo su “Rocche e castelli del Lazio” di A.C. Cenciarini e M. Giaccaglia,

Foto: la prima è una cartolina della mia collezione, mentre la seconda è su www.viterbotv.eu

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