venerdì 29 gennaio 2016

Il castello di sabato 30 gennaio






SOLOFRA (AV) – Castello longobardo

Attualmente l’agglomerato urbano è dominato dalle rovine del castello feudale, visibile a 470 m di altezza sul lato meridionale del monte Pergola-S.Marco. Dalla sua posizione il castello controllava totalmente la valle solofrana. Durante la prima fase della loro conquista i Longobardi non realizzarono nuovi siti fortificati ma si impegnarono a rinforzare quelli già esistenti. Fu con la divisione del ducato di Benevento che il confine tra i due Principati di Benevento e di Salerno fu interessato dalla realizzazione di un fitto sistema difensivo. Infatti è a questo periodo che si deve far risalire un primo nucleo del castello di Solofra, che fu realizzato come rinforzo al già esistente castello di Serino. Il castello di Solofra fece parte di un importante complesso difensivo costituito dallo sperone roccioso di Castelluccia ad ovest del complesso montuoso  (che fu un’arx sannita e un punto di controllo sulla romana via antiqua qui badit ad Sancte Agate), dal castello di Serino, posto sul lato nord dello stesso e che controllava la valle del Sabato e poi da un rinforzo di questo sul lato sud, appunto il fortilizio di cui parliamo. Inizialmente dipese da Serino e appartenne al casale di  S. Agata. L’insediamento di S. Agata, documentato fin dal periodo romano e non ancora diviso in due casali, occupava le pendici dei due monti e si estendeva anche nel fondovalle. Nel periodo normanno si formò, con i Sanseverino-Tricarico, il feudo di Serino che comprendeva anche l’abitato di Solofra. Il castello di Solofra appartenne a quei feudatari. Gli Angioini concessero questo punto fortificato a Giordana Tricarico, moglie di Alduino Filangieri e feudataria di Solofra che nel frattempo si era staccata da Serino. In questo periodo (nel XIII secolo), per meglio difendere la zona poiché si era nel pieno della guerra del Vespro, furono aggiunti alla fortificazione dei corpi che le dettero l’aspetto che conosciamo. Fu questa maggiore sicurezza che fece venire dal Cilento, uno dei centri di quella guerra, diversi immigrati che si insediarono nel fondovalle (si chiamerà Celentane). Si può ipotizzare che il castello fosse abitato in questo periodo e proprio da Giordana. Sicuramente degli interventi di rifacimento si sono avuti durante il periodo svevo, 1230-1240 circa, soprattutto se si considera l’uso di torri quadrangolari sporgenti dalla cortina muraria e l’andamento rettilineo da torre a torre. Certo è che dinanzi all’evidenza di una fase riferibile per tipologia all’epoca sveva, esistono evidenti differenze nella struttura, negli allineamenti, nello spessore e nei parametri dei muri che testimoniano diversi momenti costruttivi. In occasione dello scontro tra Filippo, detto il prete, pretendente al feudo dei Filangieri, e Francesco Zurlo, feudatario di Montoro e poi quando fu in mano ad Antonio Bulcano, il castello fu rinforzato col rivellino sul lato est per far fronte agli attacchi che venivano da Turci. Nel 1495 il castello era in possesso di Ettore Zurlo, come si evince da documenti del periodo aragonese. Nel XV secolo doveva dunque già esistere il rivellino, ossia quell’elemento difensivo con forma semicircolare situato intorno alla torre est, che era il punto maggiormente esposto del fortilizio. Sicuramente più antico era, invece, il sistema di approvvigionamento dell’acqua, raccolta nelle cisterne poste al di sotto delle torri. Nei secoli XIV e XV il castello fu sottoposto ad ulteriori interventi di restauro. Sono da attribuire all’epoca aragonese alcuni tratti di muratura e parte dei vani di apertura del prospetto sud. Non è possibile pensare ad una totale ricostruzione del complesso in tale periodo, data la presenza di una stratificazione dovuta ai diversi interventi avvicendatisi nel tempo. Nel 1565, quando la feudataria era Beatrice Ferrella Orsini, furono demolite parte delle mura che circondavano il castello per ottenere il materiale per la costruzione del Palazzo Ducale (di cui parleremo nel blog in un’altra occasione). Infatti, ancora oggi, le pietre dell’antica cinta muraria sono visibili nel basamento occidentale di Palazzo Orsini. Il castello, invece, continuò ad essere utilizzato per accogliere le truppe e i detenuti. Prima della Rivoluzione napoletana del 1799 fu occupato da un corpo di fucilieri, guidati dal tenente Trentacapilli ed accolse i giacobini della zona tra cui Ferdinando Landolfi padre di Luigi Landolfi. Dicono i documenti per alcune sue inquisizioni, in effetti per i legami con la famiglia della moglie, i Pepe di Montoro, a cui apparteneva Vincenzo Galiani, protomartire di quella rivoluzione. Fu poi occupato dalle truppe della municipalità, infine da Ettore Carafa, mandato a sedare la controrivoluzione. Per conoscere l’originaria struttura del complesso fortificato bisogna osservare la pianta redatta nel 1736 da Marco Papa e pubblicata da C. Megna e due fotografie databili tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 conservate nel Centro di Studi Locali di Solofra. Probabilmente il castello fu utilizzato fino agli inizi del XX secolo come casa colonica. Oggi la costruzione si presenta in un cattivo stato di conservazione con elementi lapidei in equilibrio instabile e soffocato da una fitta vegetazione, che rendono difficoltosa e, in alcuni punti, impossibile la visita. Attualmente restano soltanto dei ruderi, che corrispondono al corpo di fabbrica di forma rettangolare, posto sul lato settentrionale e suddiviso in tre ambienti; alle due torri poste ai suoi angoli estremi, nord-est (o donjon) e nord-ovest; alla torre di sud-ovest e a parte della cinta muraria. Elemento caratteristico del castello è la torre mastio, cioè la torre nord-est di dimensioni maggiori delle altre e discretamente conservatosi nel tempo. Nel livello inferiore è la localizzata la cisterna, caratterizzata da intonaco idraulico ancora in situ. Nel livello intermedio della torre mastio, al quale si poteva accedere attraverso una scala lignea proveniente dagli ambienti della corte di età successiva alla prima fase sveva della costruzione, è ubicato un  vano di passaggio, coperto con volte a crociera rette da archi gotici; da qui si accede ad un secondo piccolo vano anch’esso con volte ed archi gotici e rari intonaci del XIV secolo. Il livello superiore del mastio era utilizzato come sala abitativa; vi si accedeva tramite una scala lignea o scalandrone. Annessa alla Torre principale si trova uno dei tre ambienti che costituiscono il nucleo principale abitativo del castello, di epoca successiva alla prima edificazione sveva. Sono tre avanti su tre livelli: l’inferiore, cantinato con carceri, il medio con sale abitate, camini e sala di rappresentanza; il superiore, con sale private e stanze per dormire. L’ingresso del castro vero e proprio era situato all’interno della corte fortificata dal primo circuito murario, provvisto da camminamenti di ronda e feritoie arciere e merli di gronda. Nell’angolo nord-ovest, collegato con il terzo ambiente abitativo era situata la seconda torre quadrata-angolare con funzione di rinforzo e vedetta, provvista di feritoie o saettiere, poi tompagnate nelle fasi posteriori con riutilizzo del castello a residenza temporanea in età aragonese o posteriore. Una terza torretta quadrata, di dimensioni minori, era posta nel vertice sud-ovest della corte principale, con specifica funzione difensiva ed avvistamento. Di questa struttura rimangono solo il livello inferiore della cisterna con intonaco idraulico conservato, ed una parte del livello superiore. Il primo circuito fortificato, merlato e con passaggi interni di ronda, si completava con una quarta torre pentagonale di età angioina, rilevata dal Dr Guacci a seguito di indagine archeo/strutturale della cinta muraria. Nel  tratto più a nord della seconda cinta muraria si conservano i resti del muro fortificato racchiudente una modesta area trapezoidale ai piedi del mastio e costituiva il rivellino strategico del castro. Esso era caratterizzato da merlature di ronda e feritoie arciere per la  difesa  nord/est del  castello. Il maniero era circondato da una robustissima cinta muraria, oggi conservata solo in parte. Infatti alcuni tratti sono visibili intorno all’area dove sorgono i ruderi principali. Negli anni ’70 erano ancora visibili i resti delle due porte di accesso all’antico feudo, l’una posta alle pendici della collina, e l’altra all’estremità nord dell’area circostante le due torri. Oggi non ne resta alcuna traccia. Probabilmente altre parti del complesso fortificato restano celate al di sotto del folto manto vegetativo che ricopre e circonda l’intera area. Dato lo stato di totale abbandono in cui riversa l’antico complesso edilizio, anche ciò che oggi è ancora visibile rischia di essere completamente sommerso dalla vegetazione spontanea. Al castello è stata dedicata una pagina su Facebook: https://it-it.facebook.com/IlCastelloDiSolofra. Altri link consigliati: http://www.castellidirpinia.com/solofra_it.html, http://www.irpinianews.it/solofra-castello-pronta-la-ricostruzione-virtuale/

Fonti: http://www.castcampania.it/solofra.html, http://www.solofrastorica.it/CASTELLO.htm (Da M. De Maio, Alle radici di Solofra, Avellino, 1997; Solofra nel Mezzogiorno angioino-aragonese , Solofra, 2000.), http://web.tiscali.it/archeologiasolofra/soletam.htm (tratto dal testo in allestimento di F.Guacci “Il castello di Solofra, la storia, l’archeologia”).

Foto: la prima è di gianniB su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/62235, la seconda di Francesco Guacci su http://web.tiscali.it/archeologiasolofra/soletam.htm

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