venerdì 30 dicembre 2016
Il castello di sabato 31 dicembre
CROPALATI (CS) – Castello
Durante il primo Medioevo, il borgo si è sviluppato intorno
a numerose grotte tufacee, scavate dai monaci per abitarvi e pregare. L'attuale
centro cittadino sorse a fianco ad un castello feudale, verso il XIV secolo.
Già appartenente allo Stato di Rossano, Cropalati appartenne ai Ruffo, ai Sambiase,
ai d'Aragona Montalto (1507-1600) e ai Badolato (1600-1617), che vi
incardinarono il titolo di Marchese. Ritornato allo Stato di Rossano nel 1617,
vi appartenne fino al 1806 diventando feudo degli Aldobrandini e dei Borghese
di Roma come baronia. Nel 1799, per ordinamento del Gen. Championnet, fu
incluso nel cantone di Cirò. Nel 1807 divenne "luogo" del
"governo di Cariati". Nel caratteristico centro storico del paese si
conservano importanti testimonianze storico-monumentali ed artistiche, tra cui i
ruderi del medievale Castello Feudale, forse risalente al XII sec., che poggiano
su una roccia calcarea posta nel punto più alto del borgo e dominano la valle
del Trionto. Il castello, legato indissolubilmente alla storia di Cropalati,
costituì il fulcro attorno al quale si sviluppò il centro abitato.
Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Cropalati,
http://atlante.beniculturalicalabria.it/schede.php?id=87,
Il castello di venerdì 30 dicembre
CORREGGIO (RE) – Torrione
Percorrendo la circonvallazione interna di Correggio
provenendo da via Circondaria in direzione della Porta Modena (Piazzale
Carducci), si nota con facilità, subito dopo l'incrocio semaforizzato con via
Carlo V, un imponente ed elegante edificio che si erge alla sua destra. Un
edificio dalle forme architettoniche certamente inusuali, ma al tempo stesso
caratteristiche, ben noto ai correggesi che, puntualmente, lo hanno battezzato
con un soprannome che ne fotografa la storia: Torrione. L’edificio, infatti, si
erge là dove sorgeva il bastione detto di Carlo V che proteggeva l'angolo
nord-orientale della cinta muraria correggese. Anzi, tutta la parte bassa della
muratura in elevato presenta una singolare e caratteristica
"scarpatura", cioè un'inclinazione verso l'esterno (dall'alto verso
il basso): è quanto rimane della cinquecentesca cinta murata urbana utilizzata
dai progettisti per costruire l'immobile. Oggi adibito a casa di accoglienza
per anziani, è una delle più prestigiose e significative testimonianze di
archeologia industriale urbana di stile liberty di tutto il territorio
provinciale. Le sue origini risalgono al 1909 - 1910, allorché, durante la fase
di abbattimento delle mura cittadine, l'imprenditore Placido Reggiani acquistò
l'intera area per costruirvi un edificio destinato ad essicatoio di bozzoli,
deposito di vinacce ed eventuale distilleria. Il progetto e la sua realizzazione
furono affidati a Pier Giacinto Terrachini (1853 - 1935), eclettica figura di
progettista che nel 1889 aveva realizzato uno dei prototipi dell'edilizia
floreale in provincia di Reggio Emilia: un edificio scolastico (poi demolito)
nella natia Rio Saliceto. Terrachini, con Camillo Bertolini, è stato uno dei
protagonisti indiscussi della stagione liberty nel nostro territorio e il
"Torrione" può a ragione essere considerato uno dei suoi capolavori. L'impegno
di capitali profuso nella costruzione e nella decorazione dell'edificio fu
assai cospicuo, ma l'attività non risultò mai remunerativa, tanto che nel 1926
Reggiani, di fronte alla crescente improduttività dell'azienda legata a
produzioni di carattere stagionale, dovette cederlo al Comune di Correggio
che nel secondo dopoguerra lo sottopose ad una radicale trasformazione interna
per adibirlo a residenza popolare per famiglie indigenti. Anche i restauri del
1983 confermarono la nuova vocazione ad edilizia sociale per anziani, giovani
coppie e appartamenti protetti. L'edificio, dalla poderosa volumetria a ferro
di cavallo, circoscrive un enorme cortile, un tempo delimitato da una elegante
cancellata in ferro battuto nella quale spiccava, come testimoniano le
fotografie d'epoca, un monumentale cancello ornato da grifoni. Una delle
caratteristiche del Torrione è il sapiente uso del mattone a vista, colorato di
giallo e di rosso per ottenere suggestivi effetti cromatici e ottici, ma
soprattutto quella che a quei tempi era un'assoluta e rivoluzionaria novità:
l'uso del cemento quale materiale decorativo. Fu questa una geniale intuizione
di Bruto (1891 -1972), figlio di Pier Giacinto. Artigiano autodidatta di grande
manualità e sapienza espressiva, è notissimo ai correggesi e ai reggiani per le
centinaia e centinaia di terrecotte che ha realizzato nel corso della sua
vita, che rappresentano ancor oggi dei piccoli (per dimensioni) ma grandi (per
qualità e forza espressiva) capolavori dell'arte plastica. Ebbene, questo
geniale Bruto, al quale non è escluso si debba attribuire anche la scelta delle
cromie dell'edificio, intuì che il cemento poteva avere anche una forte valenza
e un grande utilizzo quale materiale per realizzare decorazioni plastiche di
fortissimo impatto. Se si osserva il corpo di fabbrica di destra, per chi per guarda ponendosi di
fronte al Torrione e che corrispondeva all'antica ala padronale, che con il
quasi gemello di sinistra sporge rispetto al corpo centrale e delimita le due
ali laterali del cortile, è molto facile notare i fregi ornamentali in cemento:
ornamentazioni con motivi di pesci e delfini con tralci d'uva intrecciati
che decorano le imponente balaustrate, pinnacoli che sono collocati al temine
delle lesene e l'emblema con la grande ancora affiancata da due delfini che svetta
sul prospetto.
Fonti: testo di Gabriele Fabbrici su http://www.museoilcorreggio.org/Sezione.jsp?idSezione=323&idSezioneRif=320,
http://www.comune.correggio.re.it/vivi-correggio/edifici-e-ville-storiche/torrione/
Foto: la prima è presa da http://bbcc.ibc.regione.emilia-romagna.it/pater/data/arch_industriale/REGGIO%20EMILIA/_SCA8284.jpg,
la seconda da http://bbcc.ibc.regione.emilia-romagna.it/pater/data/arch_industriale/REGGIO%20EMILIA/_SCA8366.jpg
giovedì 29 dicembre 2016
Il castello di giovedì 29 dicembre
CORREGGIO (RE) - Palazzo dei Principi
E’ il più rappresentativo edificio rinascimentale della città, suggello architettonico dell’epoca d’oro della signoria dei da Correggio. Il palazzo, che venne costruito a partire dalla fine del XV secolo ed ultimato nel 1508, è espressione dell’influsso artistico e architettonico che Ferrara, grazie a Niccolò II da Correggio, detto Postumo, figlio di Beatrice d’Este, ebbe sulla corte di Correggio. Influenza architettonica che si manifesta nella costruzione del Palazzo, dove è chiaramente avvertibile l’influsso del grande architetto-urbanista Biagio Rossetti. Il Palazzo deve l’appellativo ‘dei Principi’ a Giovanni Siro da Correggio, Principe del Sacro Romano Impero e di Correggio. La sua prima padrona fu Francesca di Brandeburgo, rimasta vedova del conte Borso da Correggio, con la sua famiglia. L'edificio divenne di fatto la sede più prestigiosa del Casato, pur non avendo una precipua funzione residenziale. Con la fine della dinastia principesca a favore degli Estensi, il palazzo ospitò gli uffici pubblici per essere poi abbandonato e lasciato ridursi in stato di degrado. Agli inizi del XX secolo l'amministrazione comunale decise una prima opera di recupero portata avanti dal sindaco Guido Zucchini tra il 1925 ed il 1927, soltanto negli anni 1960 il palazzo fu riportato in condizioni di essere utilizzato. Dopo il restauro il palazzo divenne sede della biblioteca comunale, degli archivi storici, della fonoteca e videoteca. Buon ultimo il museo civico, aperto nel 1995 e chiuso l'anno successivo a seguito dei danni causati dal terremoto che colpì Correggio nell'autunno del 1996. Dopo ulteriori lavori di recupero, nel 2003 divenne sede della biblioteca "Giulio Einaudi" e degli archi storici. Successivamente vi è stato insediato il Museo "Il Correggio" di archeologia e arte. La facciata si presenta semplice e armoniosa, in cotto a vista con monofore e bifore centinate a rilievo e bella cornice sottotetto. Ha paraste angolari e cornice del primo piano marmoree. Al centro si apre un bellissimo portale, tra i più significativi del rinascimento emiliano, con stipiti e architrave riccamente decorati a bassorilievo e un elegante balconcino soprastante. All’interno si apre il bel cortile d’onore, circondato da un alto porticato poggiante su colonne marmoree con stupendi capitelli. L’ala est del palazzo ha subito importanti modifiche nel XVIII e una totale ricostruzione nel XIX. Nel cortile sono poste due vere da pozzo: la prima (datata 1507) proveniente da Piazza Garibaldi, la seconda, di chiara matrice gotica, è originaria del Palazzo. Sotto il porticato fa bella mostra di sé un maestoso leone funerario (con relativa targa iscritta), frammento superstite di un importante sepolcro romano (rinvenuto nelle campagne correggesi all’inizio del ‘600) databile al I secolo d.C. Al piano terreno si trovano stanze con tracce di affreschi (Sala dei Putti, Sala Conferenze “Arrigo Recordati”, emeroteca e sala di lettura della biblioteca), ma le sale più interessanti sono situate al piano nobile, cui si accede per uno scalone e una grande porta con stipiti e architrave in marmo. In particolare va segnalata una sala che presenta un soffitto a grandi cassettoni con fregio affrescato sottostante (in cui si legga la data 1507) e un camino con bassorilievi del sec. XVI. Altri link suggeriti: http://www.museoilcorreggio.org/Sezione.jsp?idSezione=28, http://www.cittadarte.emilia-romagna.it/luoghi/reggio-emilia/palazzo-dei-principi-di-correggio, http://turismo.comune.re.it/it/correggio/scopri-il-territorio/arte-e-cultura/ville-dimore-teatri-storici/palazzo-dei-principi
Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_dei_Principi, http://www.comune.correggio.re.it/vivi-correggio/edifici-e-ville-storiche/palazzo-dei-principi/
Foto: la prima è una cartolina della mia collezione, la
seconda è di Museo Il Correggio su https://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_dei_Principi#/media/File:Palazzo_dei_Principi.jpg
martedì 27 dicembre 2016
Il castello di mercoledì 28 dicembre
CORREGGIO (RE) - Rocchetta
Fonti: http://www.comune.correggio.re.it/vivi-correggio/edifici-e-ville-storiche/la-rocchetta/,
https://it.wikipedia.org/wiki/Correggio_(Italia)
Foto: la prima è di Giuseppe Maria Codazzi su http://reggioemiliaturismo.provincia.re.it/page.asp?IDCategoria=914&IDSezione=0&ID=96578,
la seconda è presa da http://www.comune.correggio.re.it/wp-content/uploads/2015/03/rocchetta.jpg
Il castello di martedì 27 dicembre
AVELLA (AV) – Castello Longobardo
Nel lungo periodo di dominazione, Avella meritò
più volte la considerazione romana per la fedeltà mostrata in occasione della
guerra di Pirro, delle guerre sociali (contro Irpini, Lucani, i Sanniti, i Pugliesi)
e delle guerre di Spartaco. La cittadina di Avella non subì sorte diversa da
quella che il destino assegnò all’Italia intera, destino che fu infame e
malvagio se i Vandali, i Goti e i Greci la straziarono e la distrussero, ad
eccezione del “formidabile” castello, i Longobardi se la contesero mentre i
Saraceni la saccheggiarono devastandola totalmente e costringendo la
popolazione a vivere tra i monti. La calma dell’intero circondario di Avella
ritornò solo dopo svariati secoli, dominati da grandi incertezze e povertà,
ossia allorquando, con l’avvento dei Normanni, i monti vicini, divenuti ormai
ricovero sicuro dell’intera popolazione, si spopolarono e il ritorno degli
avellani nelle loro antiche sedi dette origine alla Baronia di Avella che comprendeva
anche gran parte dei territori dell’attuale Baiano e Cicciano. La scala feudale
istituita dai Normanni al loro avvento in Italia era totalmente legata alla
qualità militari, di forza e di coraggio dimostrate nelle spedizioni militari. La
dinastia dei baroni avellani ebbe inizio con Arnaldo, nipote di Riccardo, conte
di Avella e principe di Capua e si sviluppò, per pura discendenza di Casato,
attraverso Rinaldo III, cavaliere di Carlo D’Angiò, e la famiglia Orsini e, per
vendita, attraverso Filiberta di Chalou, principe di Orange, Girolamo Colonna,
Caterina Saracino e i conti Spinelli che abbellirono Avella con vie ed edifici
pubblici e riportarono all’antica gloria il Castello e il palazzo baronale che
fu arricchito, tra l’altro, da un “magnifico boschetto”. La cittadina di Avella
per circa 25 anni, dal 1578 al 1604, potè giovarsi della magnanimità del
genovese, Ottavio Cutaneo, che, oltre a far rifiorire le arti, le scienze e
l’agricoltura, ricostruì a proprie spese le case dei poveri e fece lastricare
nuove strade. Il baronato di Avella continuò successivamente con l’avvento
prima dei Doria di Genova, casato del più illustre Andrea, e poi dei Del
Carretto i quali ressero il baronato fino alla sua venuta in disgrazia, agli
inizi del XVIII secolo, quando, con la perdita di valore dei diritti baronali,
furono aboliti i feudi e le giurisdizioni e i territori divennero di uso
pubblico. Nel corso del lungo baronato, che durò dal 1705 (Arnaldo I, normanno)
al 1806 (Giovanni Andrea Colonna Doria del Carretto), l’intero casale di Avella
subì continui mutamenti nei suoi confini territoriali a causa delle donazioni
che i baroni operavano a favore di loro fidi per motivi di diversa natura. La
vita amministrativa e economica nel periodo baronale era organizzata sulla base
di norme ben precise, composta di obblighi e tributi annui che i casati
corrispondevano alla Baronia come compenso per i benefici goduti nella
divisione delle rendite boschive feudali o derivanti dal taglio dei boschi. L’amministrazione
dell’università di Avella era affidata a 40 decurioni, eletti ogni 5 anni, tra
i quali, ai primi di settembre di ogni anno, i cittadini, nel Convento dei
Frati Minori e alla presenza dei Sottointendente di Nola, eleggevano i 4 membri
responsabili del governo della città ossia delle spese, delle amministrazioni
cittadine, della vigilanza sul denaro pubblico. Il complesso monumentale del
Castello di Avella, attestato sui rilievi collinari che bordano ad Est la
pianura campana, occupa una collina dai fianchi scoscesi situata sulla destra
del fiume Clanis; alle sue spalle si stagliano i monti di Avella, barriera
naturale che separa il comprensorio avellano-baianese dalla Valle Caudina. Il
sito gode di una posizione strategica di controllo del territorio circostante, a
guardia di un itinerario naturale che attraverso il passo di Monteforte Irpino
mette in comunicazione la pianura campana con la valle del Sabato e conduce
verso la Puglia e la costa adriatica. La sommità della collina (m 320 s.l.m.) è
occupata dalle strutture della rocca, dominata dalla mole di una torre
cilindrica su base troncoconica saldata alle imponenti strutture del donjon.
Due cinte murarie, sviluppandosi a diversa quota, cingono le pendici del colle
e si ricongiungono sul lato settentrionale, alla base della rocca. La prima, datata
ad epoca longobarda (Peduto 1984), ha una pianta ellittica e abbraccia una
superficie di circa mq 10.000; del circuito si conservano dieci semitorri (una
è inglobata alla base dell’angolo settentrionale del donjon) delle quali cinque
a sezione troncoconica e quattro di forma troncopiramidale. La seconda cinta, a
pianta poligonale, prevede una porta carraia nell’angolo sud-orientale e nove
torri, tutte quadrangolari eccetto quella dell’angolo sud-occidentale della
fortificazione, a pianta pentagonale; la superficie racchiusa all’interno del
circuito è di circa mq. 21.000. Alcuni saggi esplorativi condotti nel 1987 in
occasione di un intervento di restauro hanno fissato la datazione del suo
impianto al periodo normanno (XI-XII secolo) ed evidenziato l’esistenza di
interventi di ristrutturazione nel corso del XIII secolo (Iannelli 1989).
Nell’area compresa tra le due cinte murarie, in forte pendio verso sud, sono
visibili i resti di numerosi ambienti riferibili a strutture abitative; l’unico
edificio conservato in elevato è una grande cisterna a pianta rettangolare,
situata immediatamente all’interno della cinta muraria interna. Nonostante
rappresenti dal punto di vista monumentale uno dei complessi medievali più
rilevanti della Campania, solo in anni recenti il castello è stato oggetto di
esplorazioni sistematiche grazie alla disponibilità di finanziamenti destinati
alla realizzazione di un parco archeologico. Le indagini, condotte tra il 2000
e il 2001 dalla Soprintendenza peri Beni Archeologici delle province di
Salerno, Avellino e Benevento, si sono concentrate sulla rocca allo scopo di
definirne lo sviluppo planimetrico e di tracciare, su basi stratigrafiche, una
prima periodizzazione delle sue fasi di occupazione. Come si afferma e conferma
in un documento spagnolo, i leggendari costruttori del maniero furono due innamorati,
venuti dalla Persia, per motivi amorosi, Cofrao e Bersaglia: “Narra la
leggenda, che, nell’anno 300 dell’era volgare, un cavaliere percorse di volo
quella pianura. Le zampe ferrate del suo cavallo, nero come l’ebano,
sprigionavano fasci di scintille dalla terra. Le fanciulle avellane fissarono
su di lui cupidi occhi; ma il suo cuore non ebbe un palpito per esse. Era bello
e prestante, era figlio del re di Persia e si nomava Cofrao. E’ bella era la
sua bersaglia, ma di umile condizione. Il suo occhio aveva il guardar dolce
della gazzella; le sue chiome bionde le scendevano intorno al collo candido
come neve; la sua voce era soave, come i concenti della lira. Fuggitivi dalla
Persia, col loro schiavo preferito Eraclione, vagabondi per contrade diverse,
trepidi nella gioia del presente, immemori del passato, immersi nella
beatitudine d’un sogno d’oro, cercarono un nido per covare a primavera del loro
amore, delle loro brezze, e lo trovarono su quella collina e vi fabbricarono
quel castello, che risuonò sovente di celesti accordi. Là, su quel poggio, fra
lo smagliante oleazzare dei fiori, fra il sorriso del cielo, fra il verde dei
prati ed il canto degli uccelli, con le farfalle, fior alati dell’aria, con la
mitezza limpida del cielo, con la voluttà dei profumi, complici silenziosi
delle ombre, con la quieta serena della campagna, con la gioventù fervida degli
anni, con la bellezza delle forme, intenti nell’infinita tenda cilestrina, nel
palpito unisono de’ cuori a contare le stelle col numero dei baci, a narrarsi i
sogni – fantasie curiose, piene di luce e di fate – a farsi sorprendere dal
sole nel torpore dell’alba e nello spasimo degli abbracciamenti, si amarono di
quell’amore, al quale non si sopravvive. La morte è compagna dell’amore;
Bersaglia morì e Cofrao, per dimenticare quei luoghi, testimoni delle sue gioie
passate e dei suoi presenti dolori, decise di far ritorno in Persia. Di notte,
mentre scendeva dal Castello, udì, fra le ombre silenti, una fioca melodia, che
giunse gli per gli orecchi dell’anima. Era una voce purissima e mesta di
fanciulla, che accompagnava il canto con accordi tremuli d’un arpa, lievemente
sfiorata da mano destra leggera. Cofrao dimenticò tutto e fece per avviarsi al
luogo, dov’era la fanciulla che cantava; ma presto si avide ch’era impossibile
scoprirlo. Il canto pareva ora subitamente ravvicinarsi, ora lentamente
allontanarsi. Cofrao avrebbe giurato, che la voce venisse di sotterra; ma si
accorgeva ch’era sopra di lui, in alto, nello spazio purissimo del cielo. Non
intendeva le parole della canzone; ma sentiva, in quel momento, che quella
musica parlava di lui, dei suoi dolori. Intimamente commosso e con le lacrime
agli occhi, continuò a discendere; ma il cavallo, ad un tratto, s’impennò. Chi
era quella larva, chi gli appariva dinanzi? “bersaglia, tu adorata fanciulla,
tu dunque ritorni? La morte non ti rapì? Un cenno egli gli troncò la voce. Il
lieve vapore, che aveva composto quella forma, si diradò; l’ombra svanì; solo
una pezzuola bianca, intrisa di sangue, stava per terra. Il cavaliere la
raccolse e vi lesse: – compagni in vita, saremo compagni anche in morte – .
Cofrao ripigliò affannato il suo cammino, ma, ad un punto, il cavallo traboccò
e giacque morto. Il cavaliere girò gli occhi e rimase attonito; non era più il
medesimo luogo, la collina era sparita. Che erano quei sarcofagi? Ne stava uno,
aperto soltanto, dal quale usciva un dolce lamento. Cofrao si appressò, gettò
tremendo uno sguardo entro quel sarcofago e vi cadde tramortito. Quel sarcofago
li chiude ora entrambi. Colla bocca, appoggiata a quella pezzuola, intrisa di
sangue, Cofrao spirò. E per la colina s’ode ora una flebile metro di dolore. E
il rosignuolo, che ora piange là, durante la notte, il sogno svanito dei loro
dolci amori”. Altri link suggeriti per approfondire: https://avelladituttounpo.jimdo.com/monumenti-il-castello/,
http://www.fondazioneavellacittadarte.it/storia-siti/siti-archeologici/3-il-castello-di-avella.html,
http://historiemedievali.blogspot.it/2016/03/il-castello-di-avella.html
Fonti: http://www.comune.avella.av.it/c064007/zf/index.php/storia-comune,
http://www.icastelli.it/it/campania/avellino/avella/castello-di-avella,
testo di Nicola Montanile su http://www.mandamentonotizie.it/luce-a-cofrao-e-bersaglia-di-nicola-montanile/
Foto: la prima è presa da http://www.fondazioneavellacittadarte.it/images/Articoli/Castello/Castello.jpg,
la seconda è presa da http://www.mandamentonotizie.it/wp-content/uploads/2013/06/castello.jpg
venerdì 23 dicembre 2016
Buone feste dal Castelliere !!
Nei prossimi giorni non so se il blog potrà essere aggiornato, voi - se volete - passate qui a controllare e....chissà che non ci siano nuovi castelli pubblicati.
Intanto auguro a tutti voi di trascorrere delle feste piacevoli e, magari, memorabili (in positivo ovviamente). Buon Natale e Felice 2017 a tutti !!
Valentino
Il castello di venerdì 23 dicembre
CASTEL MADAMA (RM) - Castello di Empiglione
(testo di Paolo Amoroso tratto da http://blog.aioe.org/index.php/empiglione/)
Empiglione è un centro abitato a case sparse, abbandonato,
posto lungo la sponda destra dell’omonimo torrente e sito nel comune di Castel
Madama ad una decina di km da Tivoli, in provincia di Roma. Conserva estesi
ruderi del castello e di alcuni edifici privati, tutti in cattivo stato di
conservazione. La valle del torrente Empiglione aveva molto da offrire alla
colonizzazione umana. Il clima era salubre, non troppo freddo in inverno né
torrido d’estate, il terreno fertile e pianeggiante nel fondovalle e versato
per la coltivazione della vite e dell’ulivo lungo i fianchi morbidi delle
colline, l’acqua abbondante in tutte le stagioni mentre le vicine città di
Tivoli e di Roma, facilmente raggiungibili attraverso la Tiburtina, offrivano
un ampio mercato per i prodotti agricoli ed artigianali del luogo. I primi a
stabilirsi lungo il corso dell’Empiglione sembra siano stati gli Equi poi a
partire dalla prima età del IV secolo A.C. sopraggiunsero i romani che
colonizzarono la zona intensamente. Tuttavia, la città di Tivoli era abbastanza
vicina da essere raggiungibile a piedi con poco sforzo mentre il livello di
sicurezza nelle campagne era allora ancora sufficientemente elevato da
consentire alla popolazione di vivere dispersa sul territorio. Per tutta
l’epoca romana il luogo dove oggi sorge il borgo di Empiglione rimase un
sobborgo rurale di Tivoli chiamato Massa Apollonia e debolmente
popolato dove nella tarda antichità venne costruito un mulino sfruttando
l’unico tratto del corso del torrente omonimo in cui il greto è stretto
abbastanza da poter essere facilmente sbarrato. Intorno al mulino formò una
piccola comunità rurale della quale nulla sappiamo. Probabilmente raso al suolo
dagli arabi nel corso del IX secolo insieme con Tivoli, il borgo cambiò nome in
Empiglione e venne rapidamente ripopolato tanto che risulta essere stato un fundus
– terreno coltivato – nel 936, una massa nel 958, un casale –
probabilmente una torre cinta da una palizzata – nel 967 ed infine un castellum
nel 973. La nascita del primo nucleo della fortezza dipese probabilmente
dall’endemico stato di guerra protrattosi per tutto il X secolo fra il Vescovo
di Tivoli – che allora esercitava anche il potere laico sulla città – ed il
monastero di Subiaco, che possedette Empiglione a partire dal 939 e fino al
1125, di cui rappresentava il territorio più vicino al nemico. L’insicurezza
sembra abbia spinto gli abitanti dei dintorni, che prima vivevano dispersi sul
territorio, ad agglutinarsi in un unico centro abitato sorto nei pressi del
mulino già esistente oltretutto ubicato in una contrada ricca d’acqua e vicina
ai campi coltivati. Malgrado gli innegabili vantaggi del luogo, il castello ed
il borgo che lo circondava per contro erano anche difficili da difendere in
caso di attacchi militari da parte dei vicini tiburtini perché adagiati lungo
il fianco morbido e privo di difese naturali di una insignificante collinetta.
Poiché l’edificazione di una cinta muraria ben fortificata era un’impresa assai
costosa a quei tempi, costruire i centri abitati in luoghi difesi almeno
parzialmente da ostacoli naturali insormontabili rispondeva ad un’esigenza
innanzitutto economica perché limitando la porzione del perimetro della
fortificazione effettivamente esposta all’attacco nemico, che era l’unica a
dover essere davvero invalicabile, si riducevano i costi di costruzione della
struttura. Allo stesso tempo, una fortificazione protetta da difese naturali
impossibili da superare era più semplice da sorvegliare per chi la occupava
poiché in caso di attacco era prevedibile la provenienza degli assalitori e
questo rendeva difficile riuscire ad occuparla sfruttando la sorpresa. Poiché
poi il numero di soldati necessari a respingere un assalto nemico dipendeva
dall’ampiezza della porzione del suo perimetro oggetto dell’attacco, un
castello protetto dalla natura richiedeva un minor numero di soldati per essere
difeso perché l’azione ostile doveva per forza concentrarsi sulla sua sola
parte raggiungibile dall’esterno. In un’epoca turbolenta in cui la sicurezza
era un requisito indispensabile per qualunque centro abitato, questa sua
caratteristica finì col favorire il vicino borgo di Castel Sant’Angelo – oggi
Castel Madama – fondato intorno al 1030 sulla cima della collina soprastante il
fosso dell’Empiglione in un luogo difeso per tre lati su quattro da un dirupo e
perciò facile da difendere anche se lontano dai campi coltivati. Dopo essere
conquistato e raso al suolo dai Tiburtini durante il pontificato di Onorio II
probabilmente nel 1125, Empiglione rimase per il successivo secolo e mezzo un tenimentum
agricolo dato in gestione alla famiglia Orsini ed assoggettato al comune
di Tivoli. In un atto del 1275 Empiglione era descritto come un castellarium,
termine che designava una struttura fortificata in stato di abbandono e per
questo non utilizzabile come difesa militare, mentre all’inizio del secolo
seguente è citato come un castellum in piena efficienza nuovamente
abitato a partire dal 1279 e di proprietà della famiglia Orsini. Fra gli ultimi
anni del XIII secolo ed i primi del XIV, il castello raggiunse la forma ancora
attuale che è testimoniata da un atto del 1307. Il castello venne poi
abbandonato probabilmente un secolo dopo, all’inizio del XV, poiché il generale
progresso nel livello di sicurezza delle campagne e la vicinanza con Tivoli e Castel
Madama lo rese inutile sul piano militare. Sopravvisse invece il piccolo borgo
rurale sorto intorno al mulino e lungo il corso del torrente che, sebbene in
parte abbandonato, si presenta ancora in discreto stato di conservazione. Il
reperto più interessante presente ad Empiglione è senza dubbio il suo castello.
Aveva pianta rettangolare e misurava circa settanta metri per cinquanta,
dimensioni di tutto rispetto per i tempi che lo rendevano molto più vasto di Saccomuro,
Vallebona
o di Castiglione di Cottanello e circa doppio
per superficie rispetto a Rocchettine ed a Stazzano
che di contro si sono conservati in condizioni assai migliori. Era fornito di
una singola porta, ancora visibile malgrado sia in cattivo stato di
conservazione, lungo il suo lato nord occidentale, l’unico che si sia
conservato, curiosamente priva di contrafforti ed affacciata sul lato delle
mura opposto a quello parallelo al corso del torrente Empiglione e rivolta
quindi verso il fianco della valle. Della fortificazione medievale, oggi in
rovina, di proprietà privata ed accessibile solo scavalcando una recinzione,
restano pochi ruderi utilizzati da un contadino come depositi agricoli ed
oltretutto sottoposti in epoca recente ad un pesante intervento di restauro
effettuato aggiungendo solette e rinforzi in cemento armato alla struttura in
pietra originale. Del manufatto originario sono ancora chiaramente
distinguibili il mastio e le tre torri a pianta rettangolare
che si ergevano lungo il lato occidentale del suo perimetro e la porzione del
muro di cinta compresa fra questi. Nulla si è conservato, invece, del lato
orientale. Sicuramente costruito in più fasi, come facilmente provato
dall’alternarsi nelle mura di strati costruiti con differenti tecniche murarie,
nel suo nucleo più antico – comprendente almeno il mastio e forse la porzione inferiore delle
mura di cinta – il castello dovrebbe risalire al X secolo. L’aspetto molto
inconsueto è la tecnica di costruzione con cui è parzialmente realizzato che il
Castello di Empiglione condivide con un piccolo numero di altre fortificazioni
quali il Borghetto di Grottaferrata ed il Castello Savelli di Albano. Uno dei
pochi brandelli sopravvissuti del muro perimetrale è infatti edificato con una
muratura, detta alla sarcinese o sarcinesca, composta da
blocchetti di pietra a forma di parallelepipedo regolare e di dimensioni
grossomodo costanti legati fra loro da una minima quantità di malta. L’origine
di questa inconsueta tecnica costruttiva è ancora al giorno d’oggi dubbia dopo
essere stata ritenuta per secoli tipica degli edifici costruiti nel corso del X
secolo e così chiamata perché importata in Italia dagli arabi, allora chiamati saraceni.
Sebbene oggi si propenda per una datazione più tarda, in ogni caso non
anteriore alla metà del XI secolo, si tratta comunque di una tecnica di uso
raro tanto più in un luogo ricco di argilla, legname ed acqua che sono le tre
materie prime necessarie per fabbricare i mattoni. Da rimarcare infine la
presenza di una struttura ipogea sicuramente artificiale, di epoca e funzione
ignota, posta al di sotto della porzione nord occidentale del castello ed in
rovina, articolata in vari vani collegati da un disimpegno ed accessibile
attraverso una porticina che si apre immediatamente al di sotto del piano delle
mura. A valle del castello, lungo il corso del torrente, che in quel tratto
corre parallelo alla via Empolitana, sono ancora ben visibili l’antico mulino,
in larga parte ricostruito in epoca recente ed adibito a struttura ricettiva
turistica, ed alcune fattorie in stato di abbandono, una delle quali anche di
pregevole fattura. Sono riconoscibili due case coloniche, dirute ma in discreto
stato di conservazione, ed una serie di depositi o stalle inaccessibili e
cadenti.
Foto: entrambe prese da http://blog.aioe.org/index.php/empiglione/
giovedì 22 dicembre 2016
Il castello di giovedì 22 dicembre
SIRACUSA - Torre Milocca
La torre, che fa parte del sistema
difensivo costituito dalla rete di torri di avvistamento a protezione del suolo
Siciliano, è sottoposta a tutela con D. A. 6156 del 31/05/1999. Sorge a circa
sette chilometri da Siracusa ed a poco meno di due chilometri dal porto grande
ad est, e dall’omonima baia di Milocca ad ovest. La equidistanza dalle acque
dei due opposti versanti, le conferisce un’evidente posizione strategica:
isolata in una vasta pianura non segnata da alcun rilievo collinoso o da
peculiarità topografiche, dalla sua sommità si dominava sia il territorio
circostante sia le poco sicure vie del mare. La costruzione originaria (XV
secolo), gravemente danneggiata dal sisma del 1693, fu ricostruita nel 1697. La
ricostruzione conservò impianto e caratteristiche della torre preesistente. La
destinazione difensiva della torre Milocca è evidenziata dalle pareti
contraffortate, dalle feritoie, e dal ponte levatoio (oggi ponte fisso in
legno). La sua architettura esterna è, oggi, immutata: la torre è formata da
tre elevazioni, la prima delle quali, munita di contrafforti a scarpa, è
caratterizzata da piccole aperture sguinciate a feritoia. L’impianto
planimetrico è un semplice rettangolo. All’esterno l’edificio è caratterizzato
da una rigida simmetria (finestre rettangolari, due per ciascuno dei piani,
disposte sulla stessa verticale); la novità di maggior rilievo, nell’opera di
ricostruzione, fu la realizzazione, alla quota del secondo livello, dei quattro
grandi balconi d’angolo sostenuti da mensole. La porta, che all’altezza del
primo livello rompe la simmetria dell’impianto, è il solo punto che consente la
comunicazione tra interno ed esterno dell’edificio; era collegata alla scala
esterna mediante ponte levatoio, ora sostituito da una passerella fissa in
legno. Le campiture del paramento murario esterno sono finite ad intonaco; la
pietra calcarea tagliata in conci squadrati caratterizza i cantonali ed i
rifasci delle aperture. L’attico è definito da una teoria di merli limitati ai
quattro angoli da elementi piramidali. La distribuzione originaria degli
ambienti interni, al primo ed al secondo piano, è stata alterata ed adeguata
alle attuali necessità d’uso; negli anni ’70 i solai del secondo interpiano e
di copertura furono sostituiti con solai in latero cemento. Solo il piano terra
conserva le caratteristiche distributive originarie: ambiente voltato a botte
in conci di pietra calcarea e diviso in due da un setto in muratura di
pietrame. Nell’angolo di sud ovest è ubicato il pozzo che , come in passato,
garantisce il rifornimento idrico all’immobile. Successivamente la torre è
divenuta centro di aggregazione di dimore rurali, e dopo il Sec. XVII ha
assunte funzioni abitative in sostituzione di quelle difensive. Le costruzioni
sorte intorno alla torre in epoche successive hanno modificato l’ambiente
circostante. L’accesso attuale al complesso architettonico della torre Milocca
avviene attraverso un arco in muratura che, insieme ad una serie di altre
costruzioni (magazzini, palmenti, trappeti ed abitazioni) hanno trasformato lo
spazio circostante la torre, in una corte variamente articolata. Qui trovate foto molto belle della torre: https://divisare.com/projects/98791-enrico-reale-consolidamento-e-risanamento-di-torre-milocca
Fonti: http://www.antoniorandazzo.it/castellietorrimedievali/torre-milocca.html,
https://divisare.com/projects/98791-enrico-reale-consolidamento-e-risanamento-di-torre-milocca
Foto: è presa da http://www.antoniorandazzo.it/castellietorrimedievali/images/57-torre-milocca-facciata-nord.jpg
mercoledì 21 dicembre 2016
Il castello di mercoledì 21 dicembre
NOTO (SR) - Torre Messinella in località Castelluccio di Noto
Ad est del sito archeologico di Castelluccio, seguendo la S.P. 81 la
strada costeggia un’area di rimboschimento della Forestale (che secondo alcune
mappe molto probabilmente si troverebbe su di un cimitero abbandonato,
appartenente al limitrofo feudo di Castelluccio) fino a quando sulla nostra
destra (andando verso Rigolizia) vi è una sbarra facilmente scavalcabile che
non è altro che il sentiero che conduce alla Cava Messinella. Qui vi è ubicata
la Torre Messinella, posta in posizione panoramica sulla limitrofa cava iblea.
Essa è di costruzione relativamente recente ( probabilmente,
risale alla seconda metà dell'Ottocento) e si ispira alle torri medievali poichè si presenta
merlata sulla sommità. Posta in una felice posizione
panoramica, quella che fu una casina di caccia del Marchese Di Lorenzo di
Castelluccio, è una costruzione a due piani con terrazza, formata da un’accesso arcuato e da
finestre con balaustrini scolpiti ad arco cuspidato con timpano arcuato. L’interno
di questa torretta ospita una piccola casa – vacanza (per informazioni basta
cercare “Torrealta Noto” su Google (http://www.novasol.it/p/ISS477).
Fonti: http://sudestsicilia.altervista.org/noto-castelluccio-torre-messinella/,
http://www.wwfgiarre.org/notizie/30-escursioni/escursioni-2015/353-castelluccio-di-noto.html,
http://www.antoniorandazzo.it/sicilia/torre-messinella.html
Foto: entrambe di Roberto Capozio su http://www.antoniorandazzo.it/castellietorrimedievali/torre-messinella.html
martedì 20 dicembre 2016
Il castello di martedì 20 dicembre
E' un castello in rovina, situato fuori del centro cittadino di Fondi, in una zona pedemontana tra i monti Passignano e Valletonda nella località un tempo nota come Le querce di Cesare, in provincia di Latina. L’edificio nascerebbe, secondo le ipotesi formulate, in epoca medioevale nel XIV secolo per motivi militari, come fortino difensivo e di avvistamento per poi divenire residenza di campagna; la presenza di un impianto quadrangolare con torrette circolari negli angoli, e di strette e lunghe feritoie nella cortina muraria di queste ultime, sono elementi che senza dubbio connotano una costruzione fortilizia. Ciò che caratterizza il complesso è senza dubbio la conformazione planivolumetrica ad impianto quadrangolare con torri circolari negli angoli e l’aggiunta di un corpo di fabbrica rettangolare, la posizione rialzata rispetto a chi lo raggiunge percorrendo la strada che giunge dalla città, a guisa di un baluardo fortilizio, oltre alla struttura muraria completamente in pietra. Complessivamente l’edificio si presenta come la fusione di due corpi, uno quadrangolare con quattro torrette circolari sugli angoli e l’altro, a base rettangolare, che sembra innestarsi sulle due torri del prospetto nord-ovest del primo, andando a costituirne un prolungamento. Il castello occupa in pianta una superficie di circa 216 mq, e raggiunge un’altezza di gronda pari a 11,60 m; ad esso afferisce un terreno di 11.593 mq che si trova alle sue spalle, sui terrazzamenti creati lungo il pendio della montagna. Lo stato di abbandono in cui verte lo stabile ha fortemente compromesso la qualità dei materiali e la sicurezza statica, ciò ha portato, in alcuni casi, al crollo di porzioni anche considerevoli di solai e partizioni murarie interne. Qui si incontravano spesso la contessa Giulia Gonzaga con un suo amante, infatti si dice che Giulia scoprì per caso un passaggio segreto che dal castello baronale di Fondi portava fin su Monte Vago, dove c’era il convento. Da qui era possibile raggiungere il castello alle querce, detto anche alla ripa, dove appunto si incontravano Giulia ed il suo amante. Il castello delle Querce è attualmente di proprietà del Parco dei Monti Aurunci. Il progetto di recupero del Castello delle Querce di Fondi è stato inserito dalla Regione Lazio nell'elenco delle proposte approvate, ammesse a finanziamento ma non ancora finanziate. L'Ente Parco non ha dimenticato il Castello. Il suo recupero è dipeso dalla mancanza di fondi. Nel corso degli anni, infatti, sin dall'acquisizione della struttura da parte dell'Ente, la dirigenza ha presentato richiesta di finanziamento alla Regione Lazio più volte ma senza esito; prima alla Litorale Spa Azienda per lo sviluppo economico, turistico ed occupazionale del litorale laziale, poi alla Direzione Territorio ambiente e cooperazione tra i popoli ed in ultimo al dipartimento sociale Beni e attività culturali e sport. L'ultima richiesta di finanziamento alla Regione Lazio per il recupero del Castello delle Querce è stata inserita nell'ambito del Por Fesr 2007-2013 relativa ai Grandi Attrattori Culturali (Obiettivo competitività regionale e occupazione - Attuazione dell'Asse II Ambiente e prevenzione dei rischi Attività 5: "Interventi per la valorizzazione e promozione dei Gac). Il progetto prevede interventi di recupero da realizzare in diversi lotti, viste le dimensioni strutturali del Castello e la superficie stessa dell'area che la circonda che è pari a 3000 ettari. Per un finanziamento di un milione e 200 mila euro. La destinazione d'uso sarà finalizzata anche al recupero e conservazione delle tradizioni musicali locali. Altre foto interessanti sono presenti qui: http://www.latinafilmcommission.it/castello-delle-querce-fondi/
Fonti: https://castlesintheworld.wordpress.com/2015/01/23/castello-delle-querce/, testo della Dott.ssa Assuna Palazzo su http://www.telefree.it/news.php?op=view&id=82414,
Foto: la prima è presa da https://castlesintheworld.files.wordpress.com/2015/01/castello-delle-quercie.jpg, la seconda da https://castlesintheworld.files.wordpress.com/2015/01/castello-delle-quercie5.jpg
lunedì 19 dicembre 2016
Il castello di lunedì 19 dicembre
FONDI (LT) - Castello dei Montini in frazione Monte Rotondo
Di questo castello non ho trovato alcuna notizia storica, al
momento. Sono riuscito a rintracciare solo delle immagini....
Foto: la prima è presa da http://www.fondani.it/foto-fondi/monumenti/castello-dei-montini,
la seconda è una cartolina d'epoca, in vendita sul sito www.delcampe.net
sabato 17 dicembre 2016
Il castello di domenica 18 dicembre
CHIOGGIA (VE) – Torre veneziana delle Bebbe
Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Torre_delle_Bebbe,
http://www.patrimonio.cittametropolitana.ve.it/immobile/torre-di-bebe-chioggia
Foto: la prima è presa da http://www.patrimonio.cittametropolitana.ve.it/immobile/torre-di-bebe-chioggia,
la seconda è di Threecharlie su https://it.wikipedia.org/wiki/Torre_delle_Bebbe#/media/File:Torre_di_Bebe_(C%C3%A0_Bianca,_Chioggia)_02.JPG
venerdì 16 dicembre 2016
Il castello di sabato 17 dicembre
CHIOGGIA (VE) – Castello della Luppa nel forte San Felice
L’attuale Isola di San Felice originariamente era un
isolotto emerso nell’area nord dell’antica Clodia Minor, dove si trovava una
torre lignea che segnalava l’ingresso alla laguna. Dopo la Guerra di Chioggia (fu data alle fiamme durante l'assedio genovese del 1379 -1381) fu
riconosciuto come fondamentale luogo strategico per garantire la sicurezza
della laguna sud. La Serenissima volle una fortificazione in
pietra e mattoni per difendere la bocca di porto violata precedentemente e per
la salvaguardia delle saline, vere e proprie miniere a cielo aperto della
laguna di Venezia. Venne così costruito su progetto
di Francesco Marangoni, tra il ‘400 e il ‘500, il Castello della Luppa (
o Lova) il cui nome: Luppa ("illuves": inondazioni,
alluvioni) e Lova, (lozza, melma, fango) deriva dalla tipica conformazioni
barenosa sulla quale il castello era stato costruito. Le mura vennero costruite
molto più tardi, quindi il castello era inondato periodicamente durante le
maree e le violente mareggiate, ecco perchè il suo basamento è così possente ed
è stato costruito in pietra, per non far risalire l'acqua salata ai livelli
superiori. Grazie a successive riedificazioni, che iniziarono subito
dopo il termine della Guerra di Chioggia (nel 1384) e si protrassero fin alla
caduta della Repubblica Veneziana (1797), si giunse all’attuale struttura
dell’Isola di S. Felice che, vista dall’alto, assomiglia ad una stella a cinque
punte sul modello del castello di Famagosta di Cipro e di altre fortificazioni
veneziane. Questa struttura permette un controllo a 360° sia sulla laguna che
sul mare e si è dimostrata un valido ostacolo alle mareggiate che continuavano
ad erodere l’isola dal mare e dalla laguna. Molto interessante dal punto di
vista architettonico, è ancora visibile il portale in pietra d’Istria
progettato da A. Tirali agli inizi del ‘700 e i resti delle fortificazioni
militari, ma anche dal punto di vista naturalistico. Attualmente non è
visitabile e se ne attende una riqualificazione d’uso che tenga conto e ne
valorizzi sia gli aspetti naturalistici che paesaggistici, dopo il
trasloco della marina militare che ha occupato l’isola negli ultimi due secoli.
Una passeggiata o un giro in bicicletta consente di ammirare paesaggi e scorci
assolutamente unici e uno skyline della città di grande effetto, soprattutto al
tramonto. Per la storia più approfondita del Forte San Felice suggerisco questo
sito: http://www.comitatofortesanfelice.it/02%20Storia%20Forte%20San%20Felice/storiafortesanfelice.htm
Fonti: http://www.chioggialive.it/content/lisola-di-san-felice,
https://www.facebook.com/forteSanFelice/photos/?tab=album&album_id=774526919271217,
http://www.turismovenezia.it/CHIOGGIA-16107.html
Foto: la prima è di Beniamino Boscolo su http://www.beniaminoboscolo.it/wp-content/uploads/2016/05/Forte-San-Felice-Chioggia03.jpg,
la seconda è presa da http://www.velaveneta.it/wp-content/uploads/sites/30/2014/03/castello-della-lupa2.jpg
Il castello di venerdì 16 dicembre
SANT'ALBANO STURA (CN) - Palazzo Vallauri
Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Sant'Albano_Stura, http://www.visitterredeisavoia.it/it/guida/?IDR=1702, http://www.italiapedia.it/comune-di-santalbano-stura_Storia-004-211
Foto: è di micione su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/135343
giovedì 15 dicembre 2016
Il castello di giovedì 15 dicembre
CINISI (PA) – Torre Pozzillo
Foto: la prima è presa da http://www.discoverycinisi.it/torre-pozzillo/,
la seconda da http://www.reportageonway.com/2014_09_01_archive.html
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