mercoledì 8 febbraio 2017

Il castello di mercoledì 8 febbraio






PIANELLO VAL TIDONE (PC) - Rocca d'Olgisio dei Dal Verme

E' un imponente complesso fortificato posto su di una rupe scoscesa a cavallo tra la val Tidone e la val Chiarone nel comune di Pianello Val Tidone. È situato su un ripido crinale a 564 m s.l.m. di altezza che, pur non essendo in sé una gran altitudine, in questa zona appenninica di non elevati rilievi permette una vista panoramica sulla Pianura Padana e le valli circostanti. La tradizione vuole che il castello appartenesse all'inizio del V secolo a un nobile di nome Giovannato. Le prime notizie certe che ci sono pervenute risalgono al 1037 quando Giovanni (canonico nella cattedrale di Piacenza) cedette la proprietà ai monaci di San Savino, che la mantennero fino al 1296, quando fu acquistato da Uberto Campremoldo e in seguito da Alberto Della Rocca che comprò il castello dal Campremoldo citato per tenerlo a nome della Chiesa. Nel luglio de1 1325, Bartolomeo Fontana acquistò la rocca da Pietro Radati per 1100 fiorini. Un anno dopo i Piacentini fuoriusciti, capeggiati da Manfredo Landi, Francesco Volpe Landi e Corradino Malaspina, signore di Bobbio, tentarono di conquistarla grazie al tradimento di due soldati pontifici, addetti alla custodia della rocca stessa. L'azione non fu possibile perchè il piano venne a conoscenza degli ufficiali dell’esercito papale di stanza a Piacenza, i quali si affrettarono ad inviare ad Olgisio un migliaio di soldati comandati da Azzotto Del Balzo. Nell’attacco di sorpresa che seguì, i Ghibellini vennero battuti e costretti alla fuga. Il 10 novembre 1352 il fortilizio fu alienato a Barnabò Visconti. Cessata la signoria pontificia, nel 1378 Galeazzo Visconti cedette Rocca d’Olgisio “in feudo nobile e perpetuo” a Jacopo Dal Verme, famoso capitano di ventura di origine veronese , valoroso vincitore della battaglia di Alessandria contro Firenze. I Dal Verme la mantennero, con vari periodi di interruzione, fino all'estinzione della famiglia nel XIX secolo. Nel 1408 Filippo Arcelli la sottrasse ai Dal Verme. Qualche anno piu tardi tuttavia Filippo Maria Visconti rese il maniero ai figli del conte Jacopo Dal Verme, che ne erano i legittimi aspiranti. Nella cronaca dell’Agazzari si narra che nel 1478 la rocca subì gravi danni a causa di un violento incendio. Il conte Pietro Dal Verme, sfuggito miracolosamente alle fiamme, morì sette anni dopo, avvelenato da Ludovico il Moro, il quale sapendolo senza figli, tendeva ad impossessarsi dei suoi beni. Venendo meno l’asse ereditario diretto, diversi castelli vermensi furono avocati alla Camera Ducale; in quello stesso 1485, malgrado le proteste avanzate dai fratelli del defunto conte Pietro, la Rocca d’Olgisio venne concessa a Galeazzo Sanseverino, genero di Ludovico il Moro e uno dei suoi più abili condottieri. Agli inizi del 500 i Francesi occuparono tutte le città e le fortezze dello stato di Milano, solo i Dal Verme rifiutarono il riconoscimento della sovranità reale sulla rocca, essi si opposero fermamente; ma per il loro rifiuto dovettero sostenere un duro e violento assedio. Attaccato da duemila fanti ed un centinaio di cavalieri al comando di Galeazzo Sanseverino, il castello resse validamente l’urto dei nemici che tentarono più volte l’assalto, protetti dal tiro dei vari pezzi d’artiglieria faticosamente trainati sotto le mura, dopo che trecento scalpellini ebbero aperto la via con il piccone nella dura roccia. L’attacco più violento sembra venisse condotto sul lato Est, sul quale sono ancora visibili le tracce lasciate dal memorabile bombardamento. Alcuni cronisti riferiscono che durante l’assedio, in otto giorni vennero diretti ben 1160 colpi di cannone contro il complesso fortificato, che tuttavia subì solo l’abbattimento di un torrione. Sia per la solidità della rocca, che per l’accanita resistenza dei difensori, sia per la presenza nei magazzini di un quantitativo di derrate sufficienti al presidio per dieci anni, il fortilizio era ritenuto imprendibile; tuttavia esso cadde nelle mani dei suoi nemici per il tradimento di alcuni ufficiali della guarnigione assediata. Restaurata l’autorita imperiale, i Dal Verme conservarono il fortilizio fino all’estinzione della famiglia, avvenuta alla metà dell’800, quando Lucrezia Dal Verme, sposando Giulio Zileri, diede origine ai conti Zileri Dal Verme di Parma, i quali vendettero l’edificio monumentale circa trent’anni fa. I. Stanga nel volume “Donne e uomini del Settecento Parmense” riferisce invece che, verso il 1800, il tenente Cassi delle guardie parmensi acquistò dal conte Luchino Dal Verme la Rocca d’Olgisio così com’era, ricchissima di mobilio. I suoi eredi, poi, vendettero tutti gli arredi. Il conte Camillo Zileri, 80 anni più tardi, comprò all’asta il castello, ma quasi completamente vuoto. Il versante sud meno aspro strutturalmente (e per questo più vulnerabile del colle) venne munito dall’architetto militare che la costruì di un triplice ordine di spesse mura, all’interno delle quali si addossano numerosi corpi di fabbricato ed un dispositivo di cortine che costituiscono gli ordinamenti difensivi avanzati della rocca stessa. La porta di ingresso della 3a cinta che immette direttamente nel cortile, è sormontata da un arco bugnato, sulla sommità del quale appare un dipinto, ormai stinto, raffigurante un santo. Ai lati dei piedritti del portone si notano due troniere per la difesa radente dell’accesso stesso; sullo stipite interno è scolpito il motto “Arx impavida" (fortezza impavida ovvero fortezza che nulla teme). Da alcune testimonianze si apprende che, sino all’inizio del secolo scorso, questo ingresso, già dotato di ponte levatoio, era munito di una robusta inferriata fatta in modo particolare, forse a saracinesca come rivelano gli incastri perpendicolari. Con vari passaggi di mano, durante i quali venne completamente depredata degli arredi, arrivò nel 1979 alla famiglia Bengalli che ha provveduto alla ristrutturazione e al ripristino dell'antico splendore. Durante la Seconda guerra mondiale fu sede di una brigata della I divisione partigiana di Piacenza e per questo motivo venne fatta oggetto di tiri di artiglieria e attacchi da parte delle truppe tedesche presenti nella zona. Tre cinte murarie, di cui l'ultima costruita nell'Ottocento, circondano il complesso di fabbricati di epoche diverse a cui si accede attraverso due ingressi. All'interno del cortile è situato il pozzo, profondo una cinquantina di metri su cui insistono leggende di passaggi segreti e vie di fuga dal castello. La tradizione vuole che a metà canna esista un’apertura comunicante con una galleria, la cui uscita dovrebbe trovarsi fuori dal recinto fortificato al fine di permettere sortite in case di assedio. Nel complesso, che è molto articolato, possiamo vedere: l'oratorio, la torre della campana (che fu notevolmente abbassata ai primi del 1800 per evitare che si suonasse a stormo per radunare i montanari implicati nei moti antinapoleonici), il mastio con saloni affrescati e un loggiato di vedetta cinquecentesco. All'esterno, poco oltre le cinte di mura, vi sono alcune grotte che ospitavano una necropoli preistorica, sono legate ad avvenimenti leggendari e sacri: la grotta delle sante (Faustina e Liberata), dei coscritti e del cipresso. La fortezza, nella quale è possibile anche pernottare, ha una pianta irregolare alla quale si accede unicamente dal lato settentrionale. Santa Liberata da Como e Santa Faustina di Como sono nate qui, figlie del nobile Giovannato proprietario della rocca. Fuggirono dal castello per evitare il matrimonio imposto dal padre e si rifugiarono a Como dove fondarono un monastero. Entrambe monache benedettine sono legate ad alcune leggende locali e hanno dato il nome a una delle grotte poste sul crinale La rocca fa parte del circuito Associazione dei Castelli del Ducato di Parma e Piacenza ed è visitabile da aprile a ottobre nei giorni festivi, in altre date è aperta per visite guidate su prenotazione. Il castello è raggiungibile in auto da nord, attraverso una strada asfaltata, o da sud, a piedi, dalla frazione Chiarone, (sentiero 209, dislivello 250 m) passando da boschi e calanchi. Tra la flora nativa si trovano i fichi d'India nani (Opuntia compressa). La rocca ha un suo sito web (http://www.roccadolgisio.it/) di cui suggerisco la visita, naturalmente.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Rocca_d'Olgisio, http://www.castellidelducato.it/castellidelducato/castello.asp?el=rocca-dolgisio-il-castello-con-sei-ordini-di-grandi-mura-in-val-tidone-tra-le-fortezze-del-ducato, http://www.icastelli.it/it/emilia-romagna/piacenza/pianello-val-tidone/rocca-dolgisio

Foto: entrambe sono cartoline della mia collezione

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